Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Card. Betori: nessuna vita sia rifiutata, prendere le distanze dagli Erode di oggi.

Card. Betori: nessuna vita sia rifiutata, prendere le distanze dagli Erode di oggi.

Gravi minacce incombono sul bambino Gesù appena nato e su altri bambini con lui. La vita è in pericolo fin dal suo apparire. Lo fu ai tempi di Gesù, e il contesto storico, in cui è ben nota la ferocia di Erode il Grande, rende verosimile quanto narra il vangelo. Un re che, nel timore di essere spodestato, uccise un cognato, una suocera, una moglie, tre figli e un numero indeterminato di oppositori, non doveva avere troppi scrupoli a fare strage di un po’ di bambini di un piccolo villaggio del regno.

La minaccia che incombe sulla vita dei piccoli, e ne accompagna in vari modi la crescita, continua nel tempo come un gesto con cui i potenti manifestano il loro dominio. La precarietà in cui si trova la nuova vita, fin dal sorgere nel seno della madre e poi nelle condizioni della sua accoglienza, svela come la malvagità umana non abbia limiti. Ed è particolare merito di questa città aver pensato nel corso della sua storia a farsi accogliente verso la vita nascente, in specie in questo Istituto degli Innocenti, e nella sua cura negli anni dell’infanzia, con l’Ospedale Pediatrico Meyer.

Ma torniamo alla pagina del vangelo, in cui si compongono due quadri di un medesimo mistero. Il mistero ha al suo centro la vita del bambino Gesù, posta sotto il disegno del Padre, quale si rivela a Giuseppe e trova in questi un umile e solerte esecutore. L’esistenza del Figlio di Dio è da subito minacciata, e tale resterà per tutta la sua presenza in questo mondo. In Gesù si compie quanto già il popolo di Dio aveva sperimentato, quando, in pericolo di estinguersi a causa della fame, andò esule in Egitto, da dove sarebbe uscito verso l’esperienza della libertà. Ma l’Egitto, per i figli di Giacobbe, non fu soltanto un luogo di riparo, bensì anche di minaccia, a causa dell’ostilità del faraone che cercò di sopprimere il popolo uccidendone i figli maschi, fino a quando Mosè, scampato a questo eccidio, si farà liberatore dei fratelli. Su questi figli uccisi piange Rebecca, la sposa di Giacobbe, dal suo sepolcro in Rama, ma quel pianto per i bimbi ebrei in Egitto il profeta Geremia lo rivive per i figli del popolo condotti dagli Assiri in esilio e ora l’evangelista Matteo lo sente per i bambini di Betlemme.

Il mistero dell’iniquità segna la storia del popolo di Dio e i giorni del Messia. Lo segnala anche l’apostolo Giovanni nella sua lettera, in cui all’annuncio di gioia della manifestazione della luce, la verità di Dio, nel volto di Gesù, si unisce l’invito a riconoscere il peccato, che è tra noi e in noi, presupposto per poter accogliere la redenzione di Cristo. La presenza pervasiva del male nel mondo non deve generare in noi angoscia e disperazione. Consapevolezza sì, e l’assenza di questa consapevolezza, l’incapacità del mondo a discernere il bene dal male è la radice del suo pervertimento, di ogni divisione, di ogni abbandono, delle lacerazioni tra gli uomini e degli uomini con il creato. Se tutto è lecito perché tutto è possibile, allora non abbiamo più un fondamento per dare senso e orientamento alla vita, ci chiudiamo alla verità e precipitiamo nel buio. Ma la fede ci dice che questa non è l’ultima parola sulla condizione umana, perché a chi accoglie il giusto Gesù è donata la purificazione dal peccato e un cammino nella luce.

Non possiamo tuttavia sfuggire alla domanda che ci è posta dalla strage degli innocenti, dalla presenza della sofferenza innocente nel mondo. Va subito detto che la strage dei bimbi di Betlemme non è il prezzo che va pagato per la salvezza di Gesù; questi sta già in Egitto quanto Erode dà sfogo al suo furore. Resta la domanda perché Gesù venga risparmiato grazie all’intervento dell’angelo e questo non accada per i suoi coetanei di Betlemme. L’intervento di Dio nella storia – dobbiamo sempre ricordarlo quando ne invochiamo l’agire – non solleva l’uomo dalle sue responsabilità, e se la violenza si manifesta nel mondo, sui bambini come sugli adulti, essa va ricondotta a precise e individuali responsabilità e non a Dio stesso. Quella stessa violenza non risparmierà il Figlio di Dio: il bambino Gesù, divenuto adulto, verrà perseguitato e posto in croce, e questo accadrà con la responsabilità anche di Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande. La vita umana tutta, anche quella di Figlio di Dio, è posta nella precarietà di un mondo dominato dalla violenza. Come non sentire particolarmente vicine al nostro cuore e nelle nostre preghiere in questo momento le vittime che Boko Haram continua a fare in Nigeria, nelle chiese avvolte dalle fiamme nel giorno di Natale?

Il dramma della vita minacciata deve sentirci tutti coinvolti. Per questo c’è da rinnovare stima e incoraggiamento per l’opera di difesa dell’infanzia che, in diverse forme, l’Istituto degli Innocenti svolge anche nei nostri giorni. Ma ritengo doveroso accomunare a questo impegno quello dei tanti che in questi giorni di pandemia si prendono cura dei malati resi fragili da un virus minaccioso, come pure dei ricercatori che studiano gli strumenti con cui opporsi al virus o con cui debellarne gli esiti infausti, e ancora di chi ha la responsabilità di scelte sociali ed economiche con cui accompagnare l’evoluzione della società salvaguardando lavoro e presa in carico dei più poveri.

Ma lo sguardo deve allargarsi ancora oltre e pensare ad aiutare la maternità così che nessuna vita venga rifiutata perché non si è in condizioni di accoglierla, a sostenere ogni donna nella sua dignità combattendo ogni forma di violenza su di essa, a mantenere aperta la porta del cuore verso coloro che fuggono da condizioni di vita disumane e che chiedono di essere accolti, a fare scelte che evitino ogni coinvolgimento con gli scenari di guerra cercando sempre le vie della pace. L’elenco potrebbe essere lungo, ma non manca a ciascuno di noi il modo di trovare uno spazio per prendere le distanze dagli Erode di oggi.

A tutti la liturgia affida le parole della speranza: «Siamo stati liberati come un passero dal laccio dei cacciatori. Il nostro aiuto è nel nome del Signore: egli ha fatto cielo e terra» (Sal 124,7.8).