Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Mons. Angiuli: La vocazione cristiana: vedere, gustare, raccontare

Mons. Angiuli: La vocazione cristiana: vedere, gustare, raccontare

Cari fratelli e sorelle, la celebrazione liturgica domenicale propone le tappe dell’accompagnamento mistagogico. La Chiesa, come una madre, ci prende per mano e ci introduce in maniera sempre più profonda nella conoscenza del mistero di Cristo.

Al tempo di Natale segue la prima parte del tempo per annum. Dopo aver contemplato il mistero dell’incarnazione del Verbo nelle diverse fasi del suo manifestarsi al mondo (la nascita, l’epifania, il battesimo), la liturgia di questa domenica ci presenta l’inizio della vita pubblica di Gesù che prende avvio con la chiamata dei primi discepoli. La relazione tra Cristo e i suoi discepoli disegna il modello della vocazione cristiana. La Chiesa, per sua natura, è una comunità con-vocata. Ogni cristiano è chiamato a diventare discepolo, ascoltando la voce del Signore e conformando la sua vita a Cristo. In tal modo, l’intera esistenza cristiana è caratterizzata dalla sequela Christi.

La Parola di Dio ci ha presentato due famosi racconti vocazionali: il primo riguarda Samuele e il secondo gli apostoli. Si tratta di due paradigmi per comprendere il modo come avviene la chiamata e il valore che essa ha per la vita del discepolo. Soffermiamoci a considerare il brano evangelico. Nel primo capitolo del suo Vangelo, Giovanni ci descrive la prima settimana di Gesù, scandita dal ripetersi, per tre volte, dell’espressione “il giorno dopo” (cfr. Gv 1,29. 35. 43) e per una volta “tre giorni dopo” (cfr. Gv 2,1). La settimana si conclude a Gerusalemme durante la Pasqua dei Giudei (cfr. Gv 2,13). Il brano odierno si pone nel susseguirsi dei primi tre giorni e precisamente nel secondo, quello centrale: è il “giorno” dell’incontro, della scelta, della sequela.

La chiamata si svolge in tre fasi che possiamo indicare con i verbi vedere, gustare e narrare. La scena evangelica è resa viva da un intenso scambio di sguardi: da Giovanni a Gesù (Gv 1,35); da Gesù ai due discepoli (Gv 1,38); dai discepoli a Gesù (Gv 1,38-39); e infine da Gesù a Pietro (Gv 1,42). L’evangelista utilizza verbi diversi tra loro per indicare il modo di rivolgere lo sguardo e per esprimere le differenti intensità e sfumature che lasciano intravedere la profondità della relazione. Non si tratta di sguardi superficiali, distratti, fuggevoli, ma piuttosto di contatti profondi e intensi che partono dal profondo del cuore. Il verbo greco che apre e chiude il brano è “emblepo”. Alla lettera significa “guardare dentro”. Gesù si rivolge al discepolo con uno sguardo divino. Prima del suo invito a seguirlo, lo sguardo contiene già la chiamata. I discepoli, a loro volta, si rivolgono a lui e lo guardano con gli occhi della fede. È la risposta alla chiamata.

Gesù passa ancora oggi lungo le nostre strade e viene visitarci. Possiamo ascoltarlo e vederlo. La vocazione non consiste solo nell’ascoltare la voce, ma anche nel “vedere” la sua persona attraverso l’indicazione di un testimone che, come Giovanni Battista, invita a fissare lo sguardo su di lui. La locuzione “ecco” serve a introdurre una rivelazione. È la formula tipica per dire che c’è un evento straordinario di fronte al quale occorre aprire gli occhi e accorgersi che, nella normalità della vita quotidiana, accade un fatto eccezionale. Il Battista invita i suoi discepoli a guardare attentamente la persona che sta passando. Non è un uomo qualunque. È l’Agnello di Dio! La stessa scena accade nella liturgia. Prima della comunione, il sacerdote, rivolto all’assemblea come un novello Giovanni Battista, esclama: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo» (Gv 1, 29. 36). Ogni domenica possiamo vedere e ascoltare il Signore!

Il secondo momento dell’esperienza vocazionale si realizza attraverso lo stare con Gesù. Al centro del brano evangelico è indicato il movimento di Cisto che si volta verso i due discepoli. Colui che è eternamente rivolto verso il Padre ora rivolge il suo sguardo verso i discepoli e li esorta: «Venite e vedrete» (Gv 1,39). È l’invito a sperimentare la dolcezza della sua presenza. Stando con lui è possibile “gustare” la sua persona e assaporare la dolcezza ineffabile del suo amore («Jesu, dulcis memoria»). Gustando la sua presenza, il discepolo comprende il valore della chiamata e la gioia che essa infonde. Ciò che si “gusta” è cosa talmente grande da non poter essere descritta. Ogni chiamato deve fare una personale esperienza dell’amore di Cristo.

Stare con il Signore non significa rimanere immobili, ma essere coinvolti nel suo cammino. Non si può stare fermi, quando si è realizzato l’incontro con lui. La presenza di Cristo mette in movimento, invita a lasciare da parte le vecchie posizioni e a correre insieme a lui. I verbi riferiti ai discepoli indicano tutti un nuovo dinamismo: «seguirono, andarono, videro, rimasero con lui» (Gv 1,37-39). Rimanere con il Signore vuol dire innamorarsi di lui, senza avere più la voglia di volgere lo sguardo verso altri amori. Quando c’è Gesù, non manca più nulla. La gioia di vedere e di gustare la sua presenza trasforma la vita e segna l’identità del discepolo. Proprio come avviene per Pietro che riceve un nome nuovo e diventa la pietra angolare su cui è fondata la Chiesa.

Il terzo momento segna il passaggio dal vedere e dal gustare al raccontare. Chi sperimenta la gioia dell’incontro è spinto a rendere partecipi altri della sua esperienza. La missione è raccontare ciò che ha dato gioia alla propria vita. Inizia il coinvolgente movimento dell’annuncio: Andrea riferisce a Simone, Filippo a Natanaele, e così lungo tutto il corso della storia. È una catena ininterrotta di passaggi del testimone che transita di mano in mano, lungo i secoli, e giunge fino a noi.

A noi, che all’inizio del terzo millennio, mentre viviamo il processo del cambiamento d‘epoca, siamo impantanati nella pandemia da coronavirus. Anche per noi, la vocazione segue lo stesso paradigma: vedere Gesù, gustare la sua presenza, narrare ad altri la bellezza di seguire la sua persona. La vocazione non è un’ideologia da professare, un’etica da attuare, una pratica liturgica da osservare, ma una persona da seguire. L’invito “venite e vedrete” risuona ancora nel nostro tempo e risveglia la nostra coscienza assopita. Non resta altro da fare se non ascoltare la voce di Cristo, accogliere il suo invito e rimanere presso di lui. Ciò che accadrà in seguito sarà solo la logica conseguenza della profondità della relazione istaurata con lui. Più intenso sarà il rapporto d’amore, più fruttuosa la missione nel mondo.