Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Uccelli, Cibo, Imboccare, Simbolo, Fame, Dono, Natura, Amore, Aiuto, Mangiare.

Mons. Renna: Quaresima, “tempo per gustare il Pane della Vita e guarire le ferite”

Carissimi fratelli e sorelle, buon cammino verso la Pasqua! Con il Rito delle Ceneri inizia un tempo che ci fa rientrare in noi stessi e sentire più forte il richiamo dell’amore di Dio, che ci invita a ritornare sulla sua strada di salvezza che costantemente possiamo smarrire. La smarriamo quando, invece di avere uno sguardo fiducioso verso Dio e benevolo verso gli altri, invece di coltivare gesti che si prendono cura del prossimo, dei buoni sentimenti, del creato donatoci da Dio, pensiamo solo a noi stessi. Ma Dio è sempre lì ad attendere il nostro ritorno a Lui, per abbracciarci e per ridarci la gioia di vivere come suoi figli e come fratelli dell’umanità intera.

Saranno una Quaresima e una Pasqua diverse quest’anno, ma non meno vere. Se è vero quello che dice papa Francesco – “peggio di questa pandemia c’è solo il dramma di sprecarla” – corriamo il rischio di sottovalutare ciò che l’evento epocale della pandemia ci sta in qualche modo invitando ad imparare.

La croce della sofferenza, che stanno vivendo molte famiglie che hanno perso una persona cara oppure sono segnate dalla malattia o dalla crisi economica, ci farà sentire che il Signore non ci abbandona proprio nel momento della tribolazione: il cireneo aiutò Gesù sulla via del Calvario a portare la croce, ma oggi è Lui, il Signore stesso che aiuta ciascuno di noi a portare i nostri pesi con coraggio e speranza verso un tempo di risurrezione.

In questa Pasqua mancheranno le manifestazioni di fede esterne, ma non verrà meno l’opportunità di fare spazio a Dio nel cuore, in un cammino di rinnovamento della vita. Non è forse quello che Gesù ci chiede quando dice: “Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre Tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6). Nei giorni del lockdown abbiamo sperimentato molto l’autenticità di questa preghiera “intima” e “casalinga”: perché non far sì che essa ci accompagni ogni giorno? Ma per quanto le nostre case siano “chiese domestiche”, in esse ci mancheranno due realtà importanti: l’Eucarestia e la comunità cristiana. Per questo vi invito a riflettere su come possiamo ricominciare a vivere in modo rinnovato la nostra fede a casa e nella nostra comunità parrocchiale.

 L’Eucarestia: un incontro da vivere ogni domenica

Il Papa lo ha ricordato di recente: “La Messa non può essere solo ‘ascoltata’: è anche un’espressione non giusta ‘io vado ad ascoltare Messa’. La Messa non può essere solo ascoltata, come se noi fossimo solo spettatori di qualcosa che scivola via senza coinvolgerci. La Messa è sempre celebrata, e non solo dal sacerdote che la presiede, ma da tutti i cristiani che la vivono. E il centro è Cristo!”.

Quella che è una necessità abituale per una persona ammalata e lo è stata per tutti nel periodo del lockdown, “ascoltare la Messa in televisione”, non è valida sempre. Non dimentichiamoci che il Signore ha spezzato il Pane per noi, nell’ultima Cena, dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo!”. Il periodo in cui le chiese sono rimaste chiuse, la stagione estiva, la paura del contagio, forse, ci hanno fatto dimenticare questo invito; ma spero rinasca in noi la nostalgia di quel Pane diverso dagli altri, che è l’Eucarestia. Una certa pigrizia ha fatto il resto, almeno in qualcuno! Oggi abbiamo bisogno di recuperare le relazioni “in presenza” anche con la nostra comunità.

Questo tempo di crisi, quasi di “inappetenza eucaristica”, ci deve forse portare a interrogarci: che valore ha per me quell’Eucarestia che è annunciata dal suono festoso delle campane ogni giorno, alla quale ho partecipato con fervore in alcuni momenti importanti della mia vita e della mia famiglia, che ha scandito la celebrazione di una nascita, di un matrimonio, di un funerale? La Messa non è un obbligo, ma un Invito da accogliere, un Dono da ricevere, dal quale scaturisce tutto il bene per la vita del cristiano. Forse la partecipazione all’Eucarestia semplicemente è da liberare da tanti luoghi comuni (quando con leggerezza si dice: “Non è necessario andare a Messa per essere cristiani”), da una mentalità precettistica, dal considerarla una buona abitudine per quando si è bambini o si diventa anziani! Possiamo riscoprire il valore della Messa rileggendo il brano del Vangelo secondo Luca, quello dei discepoli di Emmaus (puoi leggerlo tu stesso: Lc 24,13-35).

La sera di Pasqua due discepoli di Gesù ritornavano al loro villaggio, delusi da quello che era accaduto al Cristo, che si aspettavano avesse liberato il popolo di Israele dai romani; erano, inoltre, increduli dell’annuncio della risurrezione che le donne avevano portato il mattino di quello stesso giorno. Gesù stesso si fa loro compagno di strada e spiega loro le Scritture, aiutandoli a capire che la sua passione e morte, nel progetto di Dio, non sarebbero state la fine di tutto. Come non vedere in questo brano il Signore che si fa vicino alla nostra vita di tutti i giorni e ci spiega con la Parola che viene proclamata la nostra stessa vita, ci aiuta a rileggerla con fede, facendoci scoprire la Sua presenza nascosta nelle “pieghe” dell’esistenza quotidiana? E, poi, invitato dai due discepoli (“Resta con noi perché si fa sera”: Lc 24,29), Gesù si ferma nella locanda di Emmaus, spezza il pane per loro e in quel gesto essi lo riconoscono. Come non scoprire in quel segno del pane spezzato e donato l’Eucarestia, nella quale Gesù è voluto rimanere tra noi? Solo grazie a questo incontro i due discepoli ritornano a Gerusalemme, gioiosi per aver incontrato il Signore Risorto.

La comunità parrocchiale come la locanda dei discepoli di Emmaus

I giorni che vanno dal Mercoledì de Le Ceneri alla Pasqua potrebbero essere per noi come la strada di Emmaus per ritornare con gioia rinnovata nella nostra comunità parrocchiale, come a casa nostra. La parrocchia può riscoprire sé stessa “come luogo fondamentale dell’annuncio evangelico, della celebrazione dell’eucaristia, spazio di fraternità e carità, da cui si irradia la testimonianza cristiana per il mondo”.

Dopo il periodo del lockdown, dopo un tempo in cui forse si aveva un certo timore che anche in un luogo sacro e ben contingentato ci si potesse contagiare, dopo aver forse sentito anche un certo richiamo interiore grazie alla Messa trasmessa dal Papa ogni mattina, oggi dovremmo riscoprire quanto nella nostra vita di fede la comunità parrocchiale sia essenziale. Ma questa volta, mi raccomando, non soltanto perché c’è una festa da fare, per la Prima Comunione o per la Cresima o per prepararsi al Matrimonio, ma semplicemente per riscoprire questo Incontro unico con Dio: “La Messa non costituisce l’intero della vita cristiana. Tuttavia ne è in qualche modo la sintesi”. La riscoperta di una comunità, che lo scorso anno è diventata improvvisamente tutta “non praticante” a causa del lockdown, può aprire i nostri occhi e permetterci di riconoscere quell’incontro con Cristo che avviene nella locanda di Emmaus della nostra parrocchia. Cosa succederebbe se all’improvviso nelle nostre chiese non si celebrasse più l’Eucarestia? Risponde un noto teologo: “La prima cosa che succederebbe sarebbe il disfarsi della parrocchia, proprio nella sua visibilità immediata (…) per lo sgretolarsi di quella consuetudine di fondo che fa di molti individui un insieme comunitario”.

È urgente tornare alle nostre comunità per celebrare l’Eucarestia, incontrare il Signore vivo e vero, incontrare i fratelli e le sorelle.

 La tua comunità parrocchiale, come la locanda della parabola del Samaritano, dove si guariscono le ferite della vita

Se l’Eucarestia è il centro, la fonte e il culmine di tutta l’azione della Chiesa, non dobbiamo dimenticare che il Vangelo ci parla anche di un’altra locanda, nella quale vengono sanate le ferite di un uomo raccolto per strada. Gesù ne parla nella parabola del Buon Samaritano: quest’uomo si avvicina con compassione ad una persona che era stata malmenata, derubata e lasciata sul ciglio della strada, la cura, la carica sulla sua cavalcatura e la porta in una locanda, al sicuro (puoi leggere la parabola nel Vangelo secondo Luca, in Lc 10,29-37). Il giorno dopo la affida alle cure del locandiere. Così scrivevo nella Lettera Pastorale dello scorso settembre: “La locanda, in un bellissimo commento alla parabola del Buon Samaritano attribuito a san Giovanni Crisostomo, è la Chiesa: ‘E infatti la Chiesa è la locanda, che nel cammino di questo mondo accoglie coloro che sono stanchi e che sono carichi del bagaglio dei loro peccati; il luogo dove, deposto il peso dei peccati, il viandante stanco si rifocilla e, ristorato, viene restituito a un pascolo salubre”.

Non stiamo parlando del “luogo fisico” della parrocchia, ma della comunità, fatta di persone, che deve essere davvero come una grande “locanda del Buon Samaritano”, nella quale ciascuno si prende cura delle ferite dell’altro, con senso di giustizia e di solidarietà. Vi ricordo quanto già affermato a proposito del tempo del lockdown: “Nei mesi di chiusura non abbiamo spezzato il Pane eucaristico per tutti, ma abbiamo vissuto la lavanda dei piedi, il servizio ai fratelli e la comunione di vita con i più poveri, con l’aiuto e la condivisione che nelle nostre comunità e a livello diocesano si sono avute soprattutto attraverso la Caritas e le associazioni di volontariato”.

Non deleghiamo ad altri quello che ciascuno di noi può fare per sanare le ferite del prossimo: non abbiamo che da guardarci attorno e sentire che il Signore ci chiede “Di chi ti sei fatto prossimo?”. Gesù conclude la parabola del buon Samaritano con una richiesta: “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37). E papa Francesco commenta: “Dunque, non dico più che ho dei prossimi da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri”. Forse qualche persona ferita sta accanto a te e non te ne accorgi ancora. Fa’ che questo tempo di Quaresima e di Pasqua sia utile per riscoprire la gioia di donare e di condividere perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”! (At 20,35).

Vorrei suggerire a tutti uno stile che ci permetta di donare anche quando abbiamo le mani vuote o siamo poveri. Sì, perché anche se siamo poveri abbiamo delle ricchezze da condividere! Lo ricordavo la sera del 7 febbraio scorso, commemorando con chi lo aveva conosciuto, un giovane senegalese volontario della Caritas, Isah, che ci ha permesso di aprire durante il lockdown il dormitorio di Casa “Rosati”. Era una persona fuggita dal suo Paese in cerca di un futuro migliore e che si è contraddistinta per la gentilezza del tratto. È bello incontrare una persona gentile, così come ci ricorda ancora una volta il Papa:La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri”. Vedete: anche un immigrato, straniero come lo era il Buon Samaritano per i Giudei, ci può convertire, magari con lo stile della gentilezza.

Sappiate curare così le grandi ferite dell’umanità che ci circonda!

  1. Un tenero compagno di strada per tutti: San Giuseppe, l’uomo dal cuore di padre

Quest’anno il Papa ha voluto che il 19 marzo, festa di San Giuseppe e festa dei nostri papà, inizi un anno che sarà caratterizzato dall’attenzione alla famiglia, secondo quanto egli stesso ci ha detto cinque anni fa nella Esortazione Apostolica Amoris laetitia. Questo documento del Papa si pone in un’ottica molto bella, che è quella di accompagnare tutte le famiglie, quelle che vivono un’esperienza felice, quelle che sono ferite, quelle che vivono una situazione di irregolarità; vuole accompagnare tutte le persone, fidanzati, sposi, nonni, ragazzi e giovani, a riscoprire la gioia dell’amore familiare; vuole aiutare ad integrarsi anche coloro che si sentono per tanti motivi “lontani”. Ma per noi non devono esistere “lontani”, perché nell’amore di Dio tutti ci sentiamo vicini! Invito ciascuno a guardare, come ci suggerisce il Papa, a San Giuseppe, un uomo dal grande cuore di padre, uomo tenero e forte, capace di custodire Gesù e Maria, ricco di una grande fede, che nutre il suo amore e il suo coraggio. Egli è un modello di vita per i papà, ma non solo per loro!

“Come Dio ha detto al nostro Santo: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere’ (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: ‘Non abbiate paura!’. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo”. Queste le parole illuminanti del Papa. Con l’aiuto di San Giuseppe, potremo riscoprire la bellezza dell’amore familiare.

Nei giorni della sua festa, in tutte le comunità parrocchiali, benediremo i papà e, con loro, tutta la famiglia. Sarà un modo per risentirci a casa nella parrocchia, famiglia di famiglie!

Buona Quaresima! Buon cammino verso la Pasqua! Vi invito anche quest’anno ad allestire il presepe pasquale: una croce, un ramoscello di ulivo, la Bibbia, un pezzo di pane che ci rimanda all’Eucaristia e le bende che ci ricordano la cura del Buon Samaritano. Ogni giorno fermiamoci in preghiera davanti a questo segno, che ci ha fatto compagnia durante la scorsa Quaresima.