Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Mons. Renna: auguri ai papà e a tutti coloro che “fanno famiglia”

Mons. Renna: auguri ai papà e a tutti coloro che “fanno famiglia”

Con la festa di San Giuseppe inizia un anno intero, voluto da papa Francesco, per riscoprire il valore del matrimonio e della famiglia. Non ci limitiamo perciò a fare gli auguri ai papà, ma all’intera famiglia!

Ma partiamo dal “festeggiato”, Giuseppe di Nazareth. Nei Vangeli egli è una presenza che definirei “discreta”. Dopo i primi capitoli dei Vangeli secondo Matteo e Luca, sembra entrare “nell’ombra” nella quale amano nascondersi i poveri. Così lo presenta uno scrittore contemporaneo:

Addio Giuseppe. Ingenuo fidanzato di Galilea: addio al tuo sogno d’amore. Nel giubilo di quella notizia celeste ti sono rimaste oscure le parole aggiunte dall’angelo: ‘darà alla luce un figlio… egli salverà il popolo dai suoi peccati (…). Da questo momento non sapremo più niente di te. Ancora poche pagine e non ti nomineranno più, il Vangelo ti ingoia. Intravedremo solo le tue mani sulla pialla, vedremo il morso ovattato della tua sega, per un numero d’anni che nessuno conosce. Poi ti ritroveremo sugli altari delle chiese, sui quadri a capo letto, nelle immagini dei devoti, canuto e rugoso, come se davvero fossi stato sempre un vecchio. A noi piace non dimenticare che fosti, vicino a Maria, un giovane bello e forte: un giovane innamorato (L. Santucci, Volete andarvene anche voi?, Cinisello Balsamo, San Paolo 1995, 21).

Sì, è vero, il Vangelo sembra “inghiottire” Giuseppe e lasciarlo in quel “cantuccio” che amano i “giusti”, quelli che operano nell’umiltà, che vivono, pregano, fanno la carità “nel segreto”, dove solo Dio “vede”. E, allora, come non accostare Giuseppe alla prima pagina del Vangelo della Quaresima (Mt 6,1-6), quella del Mercoledì de Le Ceneri, nella quale il Signore Gesù ci invita a pregare, digiunare, fare l’elemosina senza esibirci, ma rimanendo nel segreto? Se cercassimo un modello di questo modo di fare, possiamo trovarlo in Giuseppe di Nazareth.

Papa Francesco ha voluto ricordarci che 150 anni fa, Pio IX lo proclamò “patrono” della Chiesa Universale: colui che custodì Gesù e Maria custodisce ancora la Chiesa, e le mostra la strada umile ed efficace della testimonianza. Papa Francesco si è spinto a riproporne il patrocinio perché in lui ha visto l’eroe della quotidianità ed ha intravisto il modello di un’autentica paternità.

San Giuseppe ci insegna a vivere responsabilmente “in seconda linea”, in questo tempo di pandemia. Ce lo dice nella Lettera Apostolica Patris cordeTale desiderio [condividere alcune riflessioni spirituali su san Giuseppe, n.d.r.] è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti». Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine (Francesco, Lettera Apostolica Patris corde in occasione del 150° anniversario della Dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa Universale, 8 dicembre 2020).

Auguri, perciò, a tutti coloro che si “sentono” nella società, nella Chiesa, in tutti gli ambienti di vita, in questa “seconda linea”, lontani dai riflettori, ma ugualmente protagonisti del bene!

San Giuseppe ci insegna il senso della paternità che è “cosa del cuore”, direbbe don Bosco: padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’accoglienza, padre dal coraggio creativo, padre lavoratore.

Padre… Si è parlato tanto di “eclissi del padre”, della “evaporazione della paternità”; è arrivato il momento di parlare della necessità della paternità, perché il mondo ne ha bisogno per essere “sano”! Se manca il padre, la famiglia è a metà: la donna non ha uno sposo, il figlio non ha un passato e gli sarà difficile costruire un futuro; non ha un nome: ecco come l’angelo sintetizza la vocazione alla paternità di Giuseppe: “Tu gli darai nome Gesù” (Mt 1,21). Dare un nome è mettere al mondo, inserire in una famiglia, in una storia, nell’umanità. E se anche una persona rimanesse orfana, ci sarà sempre qualcuno che chiamerebbe padre, perché ne ha semplicemente bisogno.

Auguri ai papà di tutte le età: a quelli che sono anche nonni ed hanno una paternità che abbraccia figli, nuore, generi e nipoti; auguri ai papà maturi e a quelli giovanissimi; auguri a tutti i giovani, che saranno i papà del futuro. Auguri ai papà lontani dai figli, che cercano riconciliazione e pace. E il ricordo con la preghiera va ai papà che non sono più accanto a noi, soprattutto quelli che ci hanno lasciato in questo tempo di pandemia.

Papa Francesco, in quest’anno, non ha voluto semplicemente risvegliare la nostra devozione a Giuseppe, ma ha voluto indicarlo a tutti come un punto di riferimento per il nostro “fare famiglia”. Essere famiglia è possibile se si creano relazioni vere di reciprocità o, meglio, se si riscoprono, perché già ci sono! Ri-scoprire di “essere figli” è un modo per riconoscere la paternità come un dono che ci viene fatto gratuitamente e segna la nostra vita! Ri-scoprire, all’interno della coppia, che maternità e paternità sono chiamate a coniugarsi, a “stringere un’alleanza” che dice la verità dell’amore tra due sposi, e li fa camminare nella stessa direzione nell’educazione dei figli! Ri-scoprirsi padri significa fermarsi in modo contemplativo e stupito davanti a questa meravigliosa vocazione! La paternità ci riguarda tutti! 

  1. Guardare alla famiglia con realismo e speranza

Il Papa propone a tutta la Chiesa, a partire dalla festa di san Giuseppe, di ritornare a riflettere su Amoris laetitia, l’Esortazione Apostolica Post-Sinodale sul matrimonio e la famiglia, alla quale ha voluto dedicare un anno intero. Perché? Per ritornare a guardare alla famiglia con realismo e speranza. Spesso il nostro approccio ai temi della Chiesa è troppo “giornalistico” ed ha l’amaro sapore delle fake news, delle verità parziali: così Amoris laetitia è divenuto agli occhi di alcuni il documento con cui il Papa sembra “stravolgere” tutto su matrimonio e famiglia! Facciamo un esempio, che prendo volentieri da una conferenza del cardinal Matteo Zuppi: Qualche parroco si stranisce perché gli vanno a dire che papa Francesco ha detto che un divorziato può fare la Comunione. Che poi sarebbe a dire che Papa Francesco fa il buono e i parroci devono fare i cattivi. È un discorso sbagliato e una rinnovata richiesta ci offre una opportunità per iniziare per davvero. Deve cambiare l’atteggiamento per chi viene a chiedere la Comunione. Bisogna cominciare a parlare per arrivare pian piano a farsi raccontare il perché di una scelta di cui spesso nemmeno l’interessato è cosciente (M. Zuppi, Un pastore si racconta. Cosa cambia con “Amoris laetitia”? in Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della CEI, Amoris laetitia. Una Chiesa alla scuola della famiglia, Roma 2017, 45)

 Abbiamo il dovere di conoscere l’Amoris laetitia per accompagnare e riprendere un dialogo che, con tante persone che vivono situazioni irregolari di separazione, divorzio, matrimonio dopo un divorzio, si è interrotto con un semplice diniego o, peggio, con una condanna severa. Ma abbiamo ancora di più bisogno di dirci la bellezza del matrimonio, della famiglia, la letizia dell’amore, proprio in questo momento storico in cui la pandemia sta mettendo a dura prova gli affetti familiari. Per questo, voglio ricordarvi semplicemente due cose: perché è importante Amoris laetitia e quale “nuova” consapevolezza essa ci presenta del matrimonio. 

  1. Perché è importante Amoris laetitia?

La sua rilevanza “discende unicamente dal fatto che non è stata preparata durante un sinodo [riunione dei vescovi], ma durante ben due di essi, quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015” (W. Kasper, Il messaggio di “Amoris laetitia”. Una discussione fraterna, Brescia, Queriniana, 2018, 11), preceduti da un procedimento insolito, vale a dire da una consultazione dei fedeli a livello mondiale. Questo ascolto di tutto il popolo di Dio risponde a quanto affermato da un documento del Concilio Vaticano II, la Lumen gentium al n.12: “La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cf. 1 Gv 2,20.27) non può sbagliare nel credere”. Cioè, il popolo di Dio ha il senso di ciò che è importante nella fede. Dalla consultazione è emerso, infatti, che non è venuta meno la gioia che danno il matrimonio e la famiglia: sono progetti di vita che donano amoris laetitia. È emerso anche che le famiglie fanno fatica a seguire alcune norme della morale sessuale, matrimoniale e familiare della Chiesa. Così, il Papa ha invitato i padri sinodali alla franchezza nel parlare, alla “parresia”, accompagnata dall’umiltà dell’ascolto degli altri. Si è realizzata così la “sinodalità”, il “camminare insieme” della Chiesa, nella verità e nella carità.

Il Papa ha raccolto le conclusioni del Sinodo nell’Esortazione Amoris laetitia, un documento ecclesiale che, come ci dice Lumen gentium 25, è una espressione vincolante del magistero ordinario del Papa. Cosa ha fatto il Papa: ha adattato la verità sul matrimonio alla situazione? No di certo! Il Papa prende le distanze da chi vuole distruggere il matrimonio. Non siamo né in una interpretazione dell’insegnamento su matrimonio e famiglia discontinuo riguardo al passato, né nell’ottica di una continuità che ripete semplicemente il già detto, ma in uno stile di riforma, cioè “un legame tra fedeltà e dinamica, una interazione tra continuità e discontinuità”( Cf. Benedetto XVI, Discorso di papa Benedetto XVI alla Curia Romana, 2005).

Quindi, l’Amoris laetitia deve essere interpretata alla luce della Tradizione della Chiesa e, al tempo stesso, “la Tradizione va compresa alla luce di nuove visioni spirituali” (Kasper, o.c.,20). Per questo è necessario “fare discernimento”: senza questo atteggiamento rischieremmo di essere fermi al passato, ritenendolo immutabile, oppure saremmo tentati di abbracciare tutte le mode, compresa, ad esempio, quella del gender. Amoris laetitia, in definitiva, ci aiuta ad annunciare la bellezza del matrimonio e a fare discernimento su di esso in tutte le situazioni nuove che il nostro tempo pone, in un’opera faticosa per tutti, ma che non è “da funzionari”, bensì da padri: “Il funzionario si infastidisce o ha paura; il padre è felice di poter parlare di nuovo con il proprio figlio e non ha timore di farlo! Anzi, teme piuttosto di non poterlo fare!” (Zuppi, o.c.,42). Credo che questa modalità di ascolto ben si coniughi con quel coraggio creativo che, ci dice papa Francesco, è una caratteristica di san Giuseppe: esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Infatti, davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere (Patris corde, 5).

  1. Quale è l’immagine che meglio potrebbe definire la famiglia in Amoris laetitia? 

Credo sia quella del cammino. La Esortazione Apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II ci ha consegnato una bellissima espressione: “Famiglia, diventa quello che sei”. L’Amoris laetitia di papa Francesco usa un’espressione simile e aperta al senso del “divenire” e della strada da percorrere: “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare. Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa” (Amoris laetitia, 325).

Dobbiamo considerare perciò dei passaggi che rispondono alla verità della vita di ogni famiglia. Anzitutto “nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre” (Amoris laetitia, 325).

Una vita familiare tra persone che si ritengono perfette è destinata a fallire. La consapevolezza della fragilità dice anche la volontà di crescere, di perdonarsi quando si scoprono i propri limiti. Questo, però, senza rinunciare a guardare alla pienezza del progetto di Dio su matrimonio e famiglia: “contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie”. Noi, cioè, non abbiamo raggiunto la perfezione; quando pensiamo di aver raggiunto una mèta, ci rendiamo conto che essa non è tutto quel campione di perfezione che immaginiamo. Quando la famiglia sembra troppo ideale, dobbiamo ritornare coi piedi per terra (Amoris laetitia, 325).

Se consideriamo che quello della famiglia è un cammino diventiamo meno duri con gli altri, capaci di accogliere, accompagnare ed integrare anche i nostri fratelli e le nostre sorelle che vivono situazioni “irregolari”. Nella Patris corde, san Giuseppe ci viene presentato proprio con questo tratto dell’accoglienzatante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia (Patris corde, 4).

Può succedere che un figlio sbagli o che uno dei coniugi viva un momento di crisi: non è quello il momento di chiudersi, ma di avere pazienza, per poi raccogliere frutti che possono maturare nel dialogo. Questo atteggiamento porta anche a non giudicare scelte che tante volte nascondono grandi drammi personali: quando questo diventa stile di Chiesa, allora nella nostra comunità tutti possono trovare spazio e ascolto. Scrive papa Francesco: ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» (Amoris laetitia, 308).

 Perciò mi rivolgo a voi, cari presbiteri, cari catechisti coppie che accompagnate i nubendi e i gruppi di famiglia, religiose che operate nella scuola, volontari della Caritas e operatori pastorali: voi siete quella locanda del Buon Samaritano nella quale si può sperimentare la paternità. Auguri a tutti voi, perché vivete una paternità ed una maternità che è quella della Chiesa, e che è sempre generativa, anche in mezzo alle tempeste! Voi tutti siete chiamati a testimoniare la gioia dell’annuncio, ma anche la capacità del discernimento, dell’accompagnamento, della fiducia nel futuro!

Sotto lo sguardo luminoso della Famiglia di Nazareth, di Maria e Giuseppe, esperti in umanità, tenuti per mano dal Buon Pastore, che lascia le novantanove pecore nell’ovile per andare a cercare l’unica smarrita, «camminiamo famiglie, camminiamo» (Amoris laetitia, 325).