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Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

San Giuseppe. Card. Betori: la sua esemplarità di vita ha molto da dirci

San Giuseppe. Card. Betori: la sua esemplarità di vita ha molto da dirci

Celebriamo la solennità di San Giuseppe nella chiesa fiorentina a lui dedicata per ricordare alla nostra comunità diocesana l’Anno di San Giuseppe che il Papa ha voluto nel 150° della proclamazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa Universale. Papa Francesco ripropone alla Chiesa la testimonianza di fede di San Giuseppe, in cui si incontra un’esemplarità di vita consacrata a Dio che ha molto da dirci, anche in riferimento alla particolare situazione storica che stiamo vivendo.

A questo il Papa ha dedicato la lettera apostolica “Patris corde (Con cuore di padre)”, in cui ha posto in luce i diversi aspetti che danno forma alla paternità di San Giuseppe: padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre dal coraggio creativo, padre lavoratore, padre nell’ombra. Attingerò a questa lettera per le parole che ora vi dirò, a partire dal brano del vangelo di Matteo proclamato in questa liturgia.

Come Giuseppe, il figlio del patriarca Giacobbe, fu strumento di Dio per la salvezza del popolo d’Israele nei tempi della carestia, sorretto dai sogni e dalla capacità di interpretarli – «il signore dei sogni» (Gen 37,19), lo chiamavano ironizzando i fratelli, ma saranno quei sogni a salvare loro e le loro famiglie –, così anche la vita di Giuseppe, anch’egli figlio di un Giacobbe (Mt 1,16), lo sposo di Maria, è intessuta di sogni che lo guidano nell’esercizio della sua paternità verso Gesù.

I sogni, nell’esperienza di San Giuseppe non sono un’evasione dalla realtà, ma un modo più profondo con cui guardare ad essa, oltre le sembianze spesso ingannevoli di ciò che appare. Sono un modo con cui rinunciare alla pretesa tipica dell’uomo contemporaneo di programmare tutto, di prevedere tutto, di tenere tutto sotto controllo, per lasciarci stupire dalla novità del dono, della grazia. Sono lo spazio della coscienza in cui non si pretende di decidere tutto da noi, ma ci si lascia illuminare da Colui che ha una comprensione più profonda delle vicende che viviamo, Dio, il Signore della storia.

Il primo dei sogni a cui San Giuseppe si affida è quello che gli permette di guardare con occhi nuovi la sua promessa sposa e di scorgere in lei un mistero più grande di quello che occhi umani potevano immaginare: «Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Di fronte a una situazione che la logica umana avrebbe risolto con il ripudio, la condanna, la morte quasi certa per lapidazione, Giuseppe accoglie le parole del sogno e si propone, dice il Papa, come «figura di un uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria» (Pc, 4), e, aggiungo, la vita di Gesù. Il Papa continua segnalando come noi, di fronte a quanto non comprendiamo, siamo tentati di reagire con la delusione e la ribellione. Giuseppe invece accoglie, «assume con responsabilità e si riconcilia con la propria storia» (ibid.). Sono atteggiamenti da coltivare in questi giorni. Il Papa ci avverte: «L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza. […] Torna ancora una volta il realismo cristiano, che non butta via nulla di ciò che esiste. La realtà, nella sua misteriosa irriducibilità e complessità, è portatrice di un senso dell’esistenza con le sue luci e le sue ombre. È questo che fa dire all’apostolo Paolo: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28). E Sant’Agostino aggiunge: “anche quello che viene chiamato male (etiam illud quod malum dicitur)” [Enchiridion de fide, spe et caritate, 3. 11]. In questa prospettiva totale, la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste» (ibid.).

Seguono altri sogni nella vita di San Giuseppe. Quello successivo gli chiederà di prendere il bambino e sua madre e di fuggire in Egitto, per sfuggire alle minacce di Erode che vuole uccidere Gesù (Mt 2,13-15). Anche questa volta Giuseppe obbedisce e dà forma concreta alla missione di custodia che c’è in ogni paternità e che fa di ogni cura dell’altro un modo di esercitare paternità. C’è nel gesto di Giuseppe e nella condizione in cui la sua piccola famiglia si viene a trovare tutta la sofferenza che la precarietà proietta sulle famiglie nel mondo, da quella che tutti stiamo sperimentando di fronte a un virus che non si lascia domare, se non appunto nella custodia che ci prendiamo gli uni degli altri, fino alla tragedia dei profughi che mettono a repentaglio la loro vita per dare a essa un futuro più umano. E non di minore importanza è che il comando a cui San Giuseppe obbedisce non contiene il prontuario su come agire, ma questo è affidato alla sua creatività previdente e generosa, che dovrà fissare le tappe del cammino, offrire l’alimento che sostenga, e alla fine trovare un inserimento in un mondo straniero che garantisca la sopravvivenza, una casa, un lavoro. In tutto questo c’è una libertà da esercitare e un’intelligenza da applicare alle situazioni concrete. E anche in questa stagione della vita di Giuseppe, e con lui di Maria e di Gesù, troviamo sollecitazioni e illuminazioni per il nostro presente, anch’esso bisognoso di libertà responsabile e intelligenza creativa. Commenta Papa Francesco: «Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare» (Pc, 5).

Il terzo sogno, alla morte di Erode, chiede a Giuseppe di tornare nella terra d’Israele, ma nel tragitto ancora un sogno ne corregge l’itinerario e lo spinge oltre la Giudea, verso la Galilea, fino a Nazaret, il villaggio che diverrà il luogo della crescita del bambino Gesù, della sua vita nascosta, la sua patria, là dove eserciterà il lavoro del falegname accanto a Giuseppe. Sono gli anni in cui Giuseppe aiuta Gesù a condividere pienamente la condizione umana nella sua quotidianità: famiglia, lavoro, vita di paese, preghiera. Sono anche gli anni in cui la figura stessa di Giuseppe scompare, come pure nell’ombra si va a collocare Maria, secondo i vangeli. Tutti abbiamo una paternità da esercitare verso gli altri, ma Papa Francesco ci avvisa che «essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici». (Pc, 7). Parole importanti queste del Papa, capaci di dare volto a una vita vissuta come dono, quale è stata la vita di San Giuseppe. In un mondo che fa del possesso il metro di giudizio della vita dell’uomo, occorre davvero il coraggio della fede, dell’obbedienza della fede per dire invece che ciò che dà valore alla vita e la capacità di donarla, dando spazio alla libertà degli altri.

Un’ultima breve riflessione. San Giuseppe ci viene presentato nella fede, nella devozione, nell’arte, mai da solo, bensì accanto a Maria e a Gesù, che insieme sono la Santa Famiglia di Nazaret. Questa dimensione della relazione, in specie della relazione familiare, è costitutiva della sua identità. Ricordiamolo a fronte del dilagante individualismo e a motivare l’anno dell’Amoris laetitia che il Papa ci invita e vivere a partire da oggi, per ricollocare la missione della famiglia in un orizzonte di pienezza umana e di fede.

E concludiamo con la preghiera che Papa Francesco ci ha affidato nella sua lettera:

Salve, custode del Redentore,
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.

O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male. Amen.