La Chiesa di ogni tempo, corroborata dall’esperienza del Risorto e dalla forza dello Spirito Santo, si sente costantemente chiamata a portare a tutti e ovunque l’annuncio pasquale che Cristo è risorto ed ha vinto la morte, nella consapevolezza che quest’annuncio, pur non facendo notizia sui social, ha fatto e continua a fare la storia e a dare senso e significato alla vita!
Questo annuncio, come ci insegna Papa Francesco, può essere efficacemente scandito in quattro sintetici messaggi che riescono a raggiungere il cuore umano: Dio è amore; Cristo ti salva; Egli vive; lo Spirito dà vita (cfr. Christus Vivit 89-101). Questi quattro temi enucleano l’unico grande annuncio pasquale della Chiesa, il solo messaggio capace di dare speranza e di trasformare la vita.
Uno dei frutti più esemplari ed eloquenti di questa trasformazione, generata dall’incontro con il Risorto, è Saulo di Tarso, che da zelante “persecutore” del Vangelo ne è diventato intrepido “apostolo”.
La vita di san Paolo, dopo l’incontro con il Signore Risorto sulla via di Damasco, è tutta animata da un grande spasimo d’amore per il Cristo e per il mondo. Paolo, infatti, considerava l’annuncio del Vangelo “la” vera e grande priorità della sua vita, tanto da dire: “guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16). Con queste parole san Paolo non ci comunica soltanto un impulso missionario del suo cuore, ma soprattutto egli condivide con noi un’urgenza che ci deve appartenere sempre come battezzati, quella di essere marchiati a fuoco dalla missione (cfr. Evangelii Gaudium, 273), ovvero dall’esigenza di portare Cristo al mondo. Il mondo (i giovani, gli adulti, i bambini, le famiglie, la società, ecc. …) ha infatti bisogno di (ri) gustare la gioia della salvezza ed attende questo annuncio da evangelizzatori, non stanchi e confusi, ma convinti e gioiosi, con una vita che non è in dissonanza con i valori del Vangelo (cfr. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 80).
Il Vangelo, infatti, va comunicato certamente con le parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita. Quando la Chiesa si mette sull’orizzonte della testimonianza, intesa come prima forma di evangelizzazione, mostra sempre il suo vero volto, il volto pasquale, il volto luminoso e radioso che nasce dalla Pasqua di Cristo.
Oggi, in un tempo di secolarizzazione e di scristianizzazione, la testimonianza di fede, che scaturisce dal Battesimo, deve distinguersi per uno stile incisivo e solidale ovvero kerigmatico ed empatico-inclusivo.
Il cristiano deve quindi sempre tendere a “dire”, a “raccontare”, la sua fede essenzialmente con la coerenza della vita. In questo modo la comunità cristiana, nel territorio in cui vive, potrà modulare in maniera credibile la sua opera evangelizzatrice attraverso la capacità di integrare, accompagnare e discernere, tre dimensioni essenziali dell’azione pastorale.
Per questa ragione non dobbiamo mai dimenticare quanto Papa Francesco ci insegna circa la natura profonda della Chiesa. Il Papa continuamente ci ripete che la Chiesa “non è una roccaforte, ma una tenda capace di allargare il suo spazio e di dare accesso a tutti. La Chiesa è ‘in uscita’ o non è Chiesa, o è in cammino allargando sempre il suo spazio affinché tutti possano entrare, o non è Chiesa. «Una Chiesa con le porte aperte», sempre con le porte aperte” (cfr. Papa Francesco, Udienza generale, 23 ottobre 2019).
In queste parole è racchiuso un compito impegnativo e una sfida esaltante, ma vi è anche indicata un’opportunità bella, un vero kairos! Le risorse per vincere questa sfida sono il Vangelo, l’Eucaristia e la docilità allo Spirito Santo. Quanto più riusciamo ad essere docili allo Spirito e a porre il Vangelo e l’Eucaristia al centro della nostra vita ecclesiale e spirituale, tanto più ci ritroveremo capaci di disegnare percorsi pastorali “nuovi”, nel senso evangelico del termine, che ci vedranno non tanto impegnati a promuovere servizi, ma soprattutto intenti a tessere relazioni, a favorire l’incontro tra le persone e a rafforzare la comunione tra le diverse realtà aggregative e territoriali.
Questo, però, richiede anche che dobbiamo ripartire, personalmente e comunitariamente, con determinazione e fiducia, da tre punti fermi: privilegiare l’evangelizzazione, ristabilire il primato della spiritualità (Eucaristia, Parola di Dio e esperienza dello Spirito) e partire dagli ultimi. Le mete pastorali generali di una Chiesa dal volto pasquale sono dunque mete missionarie e non possono essere che le seguenti: essere una comunità aperta, viva e accogliente, educante e solidale.
In questa trasformazione missionaria un ruolo importante deve averlo la famiglia. L’anno speciale, indetto da Papa Francesco, “Famiglia – Amoris Laetitia”, potrà essere un’occasione propizia per approfondire questi temi e proiettarsi sempre più verso comunità ecclesiali che siano “famiglia di famiglie” (Amoris Laetitia, 87), che non solo sappiano “includere” a livello pastorale maggiormente le famiglie, ma che soprattutto riescano a “mutuare” dalla famiglia “stile” e “metodo”. Infatti, soltanto una Chiesa che si scopre “famiglia di famiglie”, è capace di “illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (Evangelii Guadium, 273). Una Chiesa che vuole proiettarsi su questa dimensione della famiglia e dell’essere famiglia è sicuramente una comunità che vuole ogni giorno passare dall’essere “Chiesa dei sacramenti” all’essere “comunità di comunità” (cfr. Evangelii Gaudium, 28), che opera e vive a partire “dai sacramenti”, generando “novità” e “profezia”, sognando e disegnando percorsi sempre nuovi in prospettiva del progetto evangelico di gioia, di amore e di pace. Buona Pasqua a tutti!