Alle donne e agli uomini del mondo del lavoro, desidero esprimere a voi tutti, dipendenti, artigiani, imprenditori, professionisti, la vicinanza e solidarietà mia personale e di tutta la Chiesa di Bari-Bitonto, in questo tempo così difficile che ci ha provato e ancora ci mette alla prova.
Il principio regolatore della vita sociale non è la lotta fra gli individui o fra i gruppi o classi, ma un rapporto naturale di reciproco amore e aiuto. Questo principio, oltre ad emergere dalla più genuina esperienza della vita associata, è particolarmente illuminato dal Vangelo e dall’esempio di San Giuseppe di cui, in questo anno, facciamo memoria, così come indicato da Papa Francesco.
Questo amore, questo aiuto reciproco, può essere chiamato “carità sociale” e deve essere esteso a tutti. La carità sociale si trova agli antipodi dell’egoismo e dell’individualismo: senza assolutizzare la vita sociale, come avviene nelle visioni appiattite sulle letture esclusivamente sociologiche, non si può dimenticare che lo sviluppo integrale della persona e la crescita sociale si condizionano vicendevolmente. Proprio l’esempio di San Giuseppe Lavoratore, ci spinga a vivere questo tempo di difficoltà senza disimpegno e senza rassegnazione.
Non possiamo limitarci a parlare del lavoro come se fosse una entità astratta, senza pensare alla persona che lavora; non possiamo pensare a prospettive future generiche, senza pensare alla capacità generativa e creativa che ogni donna ed ogni uomo impegnati nel lavoro quotidiano, portano in se stessi in quanto persone. E di come tale potenzialità, tale capacità, nel momento in cui viene frustrata, viene bloccata, sia foriera di profonda crisi, in grado di mettere in discussione la propria identità, il proprio ruolo sociale e familiare, la certezza del pane quotidiano, la prospettiva del domani…
L’atteggiamento di San Giuseppe è stato profetico nella sua capacità di agire, aprendosi operosamente alla speranza anche quando le prospettive del futuro sembravano dense di dubbi e incertezze.
«Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi», così ci sollecita il Papa.
Guardiamo alle strade delle nostre città e paesi, ai nostri quartieri, alle nostre piazze, alle nostre fabbriche, ai nostri negozi, alle nostre botteghe, ai nostri campi, al bellissimo mare da cui siamo bagnati, come a luoghi da cui, a partire dai volti feriti e dai corpi duramente provati, insieme, tutti insieme, possiamo essere generativi di futuro, di un orizzonte di senso e di vita.
Pensiamo, altresì, a quanti provano senso di colpa o vergogna per il dramma della propria condizione per aver perso il lavoro in età matura. Certezze che si sgretolano, paura del domani, disagio familiare, impegni da mantenere. Possiamo contribuire, tutti, a realizzare una “economia che non uccida” e dal volto più umano? Possiamo, come San Giuseppe ha fatto con Maria, assumerci la responsabilità di non “scaricare” nessuno facendo in modo che si cammini, sempre, al passo del più debole?
Guardiamo ai nostri giovani desiderosi e bisognosi di costruire il futuro, spesso mortificati in una ricerca di spazi sociali e di relazione, rispetto a vite che gridano la bellezza e l’urgenza dell’impegno, anche costruendo una famiglia, a partire dall’opera delle mani, delle menti, degli anni dedicati alla formazione. Ci sentiamo in debito di prospettive e di certezze, verso di loro!
“Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro «considerandolo come un’unica cosa con se stesso». Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene” (EG 199).
Vorrei concludere partecipandovi, carissime donne e uomini del lavoro, la prospettiva contenuta nel messaggio dei Vescovi Italiani per questa giornata del 1° maggio: “Condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura. Se «tutto è connesso» (LS 117), lo è anche la Chiesa italiana con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore.” Mi state a cuore!