Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

L’omelia di mons. Renna nella solennità dei Santi Pietro e Paolo

L’omelia di mons. Renna nella solennità dei Santi Pietro e Paolo

Carissimi fratelli e sorelle, carissimi presbiteri, diaconi e religiose,

quest’anno voglio soffermarmi a riflettere con voi sullo splendido brano degli Atti degli Apostoli che la liturgia dei Santi Pietro e Paolo ci propone come luce per i nostri passi.

Si tratta di un testo che parla di un momento difficile per la prima comunità cristiana a Gerusalemme che, dopo il martirio di Stefano ad opera di ferventi Giudei, conosce la persecuzione politica ad opera di Erode. Viene ucciso di spada Giacomo, fratello di Giovanni, e Pietro viene imprigionato.

La descrizione di questa situazione di sofferenza ci fa comprendere che quello che accade all’Apostolo è simile a quello che è accaduto a Gesù Cristo: Pietro è imprigionato durante la festa degli Azzimi, come Gesù, e sarebbe stato presentato per il giudizio dopo la Pasqua. Come Gesù deposto nel sepolcro, anche Pietro viene sorvegliato da un consistente picchetto di soldati.

La notte prima della condanna, però, Pietro dorme, come Gesù sulla barca che attraversa il lago di Galilea in tempesta. L’Apostolo ha fiducia nel Suo Signore e si sente come un fanciullo in braccio a sua madre. L’angelo del Signore lo libera, così come aveva liberato il popolo di Israele: gli tocca il fianco, come avvenne per Gesù, la cui ferita diventa feconda di vita; gli viene chiesto di cingersi, di alzarsi e di indossare un mantello, come al popolo di Israele la notte di Pasqua, quando fu liberato dal Faraone. Davvero Pietro sente che sono vere le parole che un giorno il Signore gli ha detto: “Le porte degli inferi non prevarranno”.

E questa certezza di non essere abbandonati da Dio e di essere continuamente liberati dal Signore la Chiesa la sente in ogni momento storico. Come non ricordare le parole di Dante sul famoso “schiaffo di Anagni”, in cui si ripete per il Papa quello che è accaduto per Cristo:

” Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso

e nel vicario suo Cristo essere catto;

Veggiolo un’ altra volta essere deriso,

veggio rinnovellar l’ aceto e ‘l fele,

e tra vivi ladron essere anciso.

Anche oggi la Sposa di Cristo è fatta oggetto di malintesi, e con lei il Successore di Pietro, il Papa.

La Chiesa che stipula un concordato con uno Stato non cerca privilegi, ma la libertà di esprimere la propria fede, le proprie convinzioni sulla vita, sulla famiglia, sulla società, nel rispetto di una laicità che non annulla le differenze culturali, ma le fa convivere rispettosamente.

La Chiesa che nutre gratuitamente i suoi tesori più cari, i poveri, nelle mense, nei dormitori, nei luoghi di recupero, non si sottrae ai suoi doveri economici, essendo oggetto di verifica e controllo agli occhi di tutti.

La Chiesa che, vituperata nel Successore di Pietro, tende la mano a persone che si riconoscono in varie identità di genere, annuncia la Paternità del Signore a tutti.

Cari fratelli, dalla Parola di Dio di oggi impariamo che il nostro Salvatore libera continuamente la Sua Chiesa, come ha fatto per Pietro. Impariamo anche che la comunità di Gerusalemme, mentre l’Apostolo era in catene, elevava al Signore una preghiera che è definita con un avverbio: “insistentemente”. È la nostra preghiera, unanime, serena e fiduciosa, che ci unisce intorno all’altare e ci fa sentire uniti nelle scelte di vita nel mondo, insieme a Pietro.