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Mons. Angiuli: Sentirci fratelli tutti, il vero senso del Natale

Mons. Angiuli: Sentirci fratelli tutti, il vero senso del Natale

Le nuove disposizioni per il periodo delle feste natalizie si concentrano sui temi economici e sociali ed affrontano problemi di non facile soluzione. Non bisogna però dimenticare il significato centrale della festa liturgica richiamato da Papa Francesco nella recente enciclica “Fratelli tutti”.  A partire dalla nascita di Cristo, il mondo ha cominciato a girare in modo nuovo e controcorrente e il corso della storia ha imboccato un’altra direzione: vivere la fraternità universale.

Considerando quanto sta accadendo in questo periodo di pandemia, sembra invece che la storia giri in un’altra direzione, ripresentando in contesti sociali differenti dinamiche similari che, in una sintesi complessiva, si possono identificare con l’accrescimento della povertà dei poveri e il progressivo arricchimento dei ricchi: chi ha di meno è schiacciato dal forte, mentre chi possiede aumenta il suo capitale. In tal modo, emerge che il punto centrale della crisi provocata dalla pandemia non è semplicemente di natura sanitaria ed economica, ma di più larga portata. Insomma, si tratta di una crisi culturale e spirituale. Una volta crollate le grandi ideologie e utopie del ’900, l’Occidente ha immaginato che la priorità fosse la liberazione del desiderio soggettivo. Questa idea, associata al mito della crescita infinita e sostenuta dallo sviluppo tecnologico, ha determinato il sorgere di quei problemi culturali, sociali, e ambientali di cui oggi ci rendiamo conto.

La pandemia ha mostrato in modo evidente che siamo tutti fragili e vulnerabili e che, un giorno o l’altro, potremmo finire tutti in una situazione di marginalità. Non si può, come vuole l’individualismo radicale, accettare l’idea che se qualcuno non ce la fa a tenere il passo, il problema sia soltanto suo. Questa visione assomiglia a una costruzione ideologica che non solo non tiene conto della realtà, ma rischia di trasformare l’umanità intera, salvo pochi eletti, in materia di scarto.

La buona novella annunciata dal mistero del Natale, invece, afferma che Cristo è venuto nel mondo come «salvatore e redentore» (Prefazio V/ 3) non per sé, ma in quanto «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).  «Infatti, – scrive l’autore della Lettera agli Ebrei – colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2,11). Il Verbo eterno si è fatto carne perché la carne si faccia Dio (cfr. Gv 1,14). Accogliendo nella fede la sua venuta, gli uomini divengono “figli nel Figlio”, riconoscono la paternità di Dio e si sentono fratelli in Cristo. Nessuno è messo ai margini, e tutti concorrono al bene di tutti. Per questo Papa Francesco ha scritto: «Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna. […]. Questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo (Francesco, Fratelli tutti, 277).

Passando dal registro teologico a quello culturale, mi piace sottolineare che almeno una parte della grande narrativa europea ha fatto suo il messaggio cristiano. Mi riferisco, in modo particolare al grande scrittore russo, F. Dostoevskij, secondo il quale sono proprio i poveri e gli umili della terra ad essere i veri protagonisti della storia. A partire dalla sua personale esperienza di condannato a morte riletta alla luce del Vangelo, egli ha scoperto l’importanza di ogni frammento di vita e ha riconosciuto che, da quando Dio si è fatto uomo, tutto il ventaglio e la polifonia dell’umano appartiene anche a Dio. In Cristo, Verbo incarnato, ogni storia umana può diventare una narrazione divina.

La festa di Natale, pertanto, non può risolversi, come forse abbiamo fatto per tanti anni, in una visione superficiale ed edulcorata, ma deve inquietare le coscienze e spingerle a riconoscere la dignità di ogni uomo e il legame di fraternità che esiste tra tutti gli esseri umani. Questa coscienza critica ha incarnato Dostoevskij con i suoi romanzi. Come ha messo bene in luce Giuseppe Ungaretti in un suo saggio (Esordio, 1924), nel nostro tempo «permane l’influenza di Dostoevskij, il senso delle voragini dell’anima». Al poeta italiano fa eco, la scrittrice e psicanalista francese, Julia Kristeva, nel suo recente libro, “Dostoevskij. Lo scrittore della mia vita”, quando afferma che, partendo dal “sottosuolo”, il grande narratore russo è stato capace di indagare così profondamente gli abissi dell’animo umano da turbare «la coscienza europea e mondiale da un secolo e mezzo», pur se molti hanno preferito mettere da parte questo grande profeta ritenendolo un nevrotico ossessionato da Dio.

Per Dostoevskij, solo la bellezza della persona e dell’opera redentiva di Cristo potrà salvare il mondo e rendere gli uomini fratelli tra di loro. «Poiché – egli scrive – Cristo in sé e nella sua parola ha portato l’ideale della bellezza, ha deciso che sarebbe stato meglio instillare nelle anime questo ideale: avendolo nell’anima, tutti diventeranno fratelli e, finalmente, saranno anche ricchi». E ad una madre che gli chiedeva consigli per l’educazione del figlio, egli rispose: «Non potete escogitare nulla di meglio di Cristo, credeteci».

È questo il più bell’augurio di buon Natale che possiamo scambiarci quest’anno. Se la pandemia, con tutte le molteplici difficoltà che comporta e i numerosi sacrifici che richiede, ci aiuterà a considerare l’insegnamento di Cristo come l’antidoto più efficace contro ogni forma di odio e a sentirci tutti fratelli avrà il merito di averci ricordato una verità fondamentale che rallegra il cuore e porta gioia nel mondo. Allora vivremo un vero Natale, anche se in modo più sobrio e dimesso. Le stesse limitazioni che dovremo affrontare nei giorni di festa non ci sembreranno troppo onerose di fronte alla considerazione che Cristo è venuto nel mondo come maestro di fraternità e che il suo insegnamento è un invito a vivere e a testimoniare la bellezza di sentirci “fratelli tutti”, con tutte le conseguenze economiche e sociali che ne derivano.

 

Articolo pubblicato in “Nuovo Quotidiano di Puglia- Lecce”, giovedì. 24 dicembre 2020.