Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Card. Betori: il mondo che ci attende sarà veramente umano se non escluderà nessuno

Card. Betori: il mondo che ci attende sarà veramente umano se non escluderà nessuno

Come ogni anno nei primi Vespri della solennità di Maria Ss.ma Madre di Dio la liturgia propone alla meditazione dell’assemblea orante il breve testo della lettera ai Galati in cui il farsi carne del Figlio di Dio viene collocato nel cammino del popolo di Israele, il popolo della Legge, e si dà rilievo alla sua nascita umana in forza del legame con la Vergine Maria sua Madre. Viene così esaltata la piena appartenenza del Dio fatto uomo alla storia e alla condizione umana e questo grazie alla Madre che veneriamo pertanto come Madre di Dio. L’apostolo Paolo ci invita poi a riconoscere in questa irruzione del divino nell’umano «la pienezza del tempo» (Gal 4,4), il momento in cui la storia degli uomini giunge al suo culmine, proprio perché si fa accogliente della presenza dell’Assoluto. Quel momento diventa pertanto la misura di ogni tempo, anche dell’anno che oggi portiamo a concludere.

In che senso l’incarnazione di Cristo sia il centro del tempo e il suo pieno compimento ci aiuta a comprenderlo l’inno della lettera agli Efesini, che la liturgia ci ha fatto proclamare come il cantico, terzo elemento della salmodia del Vespro. L’inno si propone come una grande benedizione, in cui veniamo invitati a benedire Dio perché egli ci ha benedetti per primo. Non siamo noi ad acquisire con la nostra lode la grazia di Dio, ma è questa che ci precede ed è motivo della nostra lode di lui: «Benedetto sia Dio…, che ci ha benedetti» (Ef 1,3). La storia degli uomini è sotto una volontà di grazia con cui Dio ci si fa prossimo e per il quale dobbiamo lodarlo. E così i nostri animi, in questa conclusione dell’anno, sono indirizzati al ringraziamento.

San Paolo ci aiuta a penetrare ulteriormente in questo mistero di grazia e ce ne scandisce i tempi. C’è anzitutto un disegno divino che è «prima della creazione del mondo» (Ef 1,4a). Da sempre è volontà di Dio dare vita, grazie al suo Figlio, a una famiglia di figli che gli appartengano, a un popolo che condivida la sua stessa santità: «santi e immacolati nell’amore» (Ef 1,4b). Se dunque soffriamo, se subiamo il peso del male, non era questo il progetto di Dio.

Vale anche per la presente pandemia, le cui radici vanno cercate nello squilibrio che si è introdotto nel rapporto dell’uomo con il creato. Sento di condividere gli avvertimenti che ci vengono da chi osserva come sia il nostro modo di abitare il pianeta a introdurre fratture negli ecosistemi tali da generare quei passaggi degli agenti patogeni dagli animali all’uomo che sono all’origine delle ultime epidemie da virus. Diventa sempre più urgente promuovere il rispetto verso il mondo che ci circonda, lasciando da parte gli atteggiamenti predatori che ancora caratterizzano comportamenti individuali e modelli di sviluppo, favorendo invece comportamenti responsabili, come quelli indicati da Papa Francesco nell’ecologia integrale proposta nell’enciclica Laudato si’. Una rinnovata attenzione al creato come casa comune dovrà essere componente fondamentale di un progetto di rinnovata economia sociale.

La ferita che il peccato dell’uomo ha introdotto nel disegno di Dio non ha fermato la volontà divina d’amore verso le creature, e nella seconda parte dell’inno san Paolo ci conduce a benedire il Padre per come ha voluto restaurare il suo progetto attraverso la redenzione dell’umano operata mediante il Figlio: «In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue» (Ef 1,7). C’è dunque per gli uomini una strada per recuperare ciò che si è perduto con il peccato, per separarci dal male e uscire a vera libertà. È la strada indicata e aperta da Gesù, in cui decisivo è il dono di sé fino alla consegna della propria vita sulla croce.

E anche questo è stata esperienza di questo travagliato anno. Il male viene sconfitto dalla dedizione di sé, dal sacrificio fatto per i fratelli, dalle rinunce accolte per acquisire più vera libertà. Lo abbiamo visto nel volto e nelle mani degli uomini e delle donne della sanità, nelle lacrime di chi ha perso i suoi cari ma ha moltiplicato la propria responsabilità verso chi restava, nello sforzo degli scienziati a cercare strumenti nuovi di prevenzione e di cura, nell’impegno di tutti a rinunciare per condividere, sapendo che la salvezza veniva soltanto dalla condivisione dei sacrifici. Questo sentimento di responsabilità verso gli altri deve guidarci in questi giorni e nei giorni a venire, perché ciascuno di noi ha un contributo da offrire alla rinascita.

Perché di una nuova nascita abbiamo bisogno e non semplicemente di una riedizione sbiadita del passato. Non mi sembra che ci siano poi chissà quali ricchezze nel mondo malato che dobbiamo abbandonare alle nostre spalle. Una rinascita, così come rinacquero le nostre città dalle grandi epidemie del passato, che ne segnarono profondamente il volto ma anche fecero scaturire energie nuove che fecero la grandezza della nostra storia. Una rinascita che va pensata come un progetto comune, che tenga insieme con vincoli di fraternità tutti, in specie i più deboli. Perché il mondo che ci attende sarà veramente umano se non escluderà nessuno, non ammetterà scarti e a tutti riconoscerà piena dignità.

Lo sguardo dell’apostolo, a questo punto dell’inno, la sua terza parte, si volge al compimento della storia. Ci chiediamo in questi giorni che cosa ci aspetta nel futuro. Per la fede questo non è un oscuro orizzonte pieno di nubi. Il disegno di Dio ci è già mostrato nella persona di Gesù, perché in lui il Padre ha dato compimento alla storia, così che tutti i tempi si trovano in pienezza in lui: nella sua vicenda tra noi ci è dato il segreto della storia, che raggiunge la sua pienezza quando ne incarna la forma della sua vita. Tutte le cose si ricapitolano in Cristo, in quanto in lui trova unità ciò che noi sperimentiamo come dispersione, tensione, opposizione. Riconoscere la signoria di Cristo sul mondo permette al mondo di ritrovare la propria unità.

E questo riguarda non solo l’umanità, ma tutto il creato, «tutte le cose» (Ef 1,10). L’armonia, che è principio basilare della nostra cultura fiorentina, e che è aspirazione personale e sociale di tutti, si ha non nell’annullare le diversità, ma nel riferire ogni identità alla sua pienezza, là dove il progetto di Dio ha raggiunto il suo vertice, il volto del Risorto.

Si aprono così gli scenari della speranza, perché il disegno di ricomposizione di un mondo armonico non è una promessa per il futuro, ma un fatto che è accaduto nella storia, la risurrezione del Crocifisso. Incarnazione, Croce e Risurrezione sono il dono che la fede cristiana fa al mondo: farlo scoprire destinatario del dono di Dio nonostante il male che lo attraversa, chiamato al dono di sé nella fraternità, mosso dalla speranza che una rinascita è possibile.

Siano questi i convincimenti con cui introdurci al nuovo anno, che dovrà prendere le forme di un operoso cantiere, secondo le parole del poeta Thomas S. Eliot, che già proposi a Pasqua:

«In luoghi abbandonati

Noi costruiremo con mattoni nuovi

Vi sono mani e macchine

E argilla per nuovi mattoni

E calce per nuova calcina

Dove i mattoni sono caduti

Costruiremo con pietra nuova

Dove le travi sono marcite

Costruiremo con nuovo legname

Dove parole non sono pronunciate

Costruiremo con nuovo linguaggio

C’è un lavoro comune

Una Chiesa per tutti

E un impiego per ciascuno

Ognuno al suo lavoro».

(Thomas Eliot La Rocca, Coro I)

Le voci degli operai del coro di Eliot siano le nostre voci nei giorni a venire.