Un inno alla tragica grandezza dell’umanità: ecco perché cantiamo il Te Deum a conclusione di un anno segnato da tante sofferenze, tante morti, tante preoccupazioni, tante confusioni.
L’umanità si è rivelata nella sua tragica grandezza.
È stato un anno di sconfitte: un organismo invisibile ha umiliato l’organizzazione, la scienza, i progetti, l’iniziativa di tutta intera l’umanità, ma l’organismo invisibile insensato e incosciente ha rivelato quanto gli uomini e le donne siano tragicamente grandi.
- La grandezza della coscienza.
La tribolazione, il soffrire, la morte sono iscritti nella natura, in ogni essere vivente è iscritto un principio di morte. Ma gli uomini e le donne di fronte alla pandemia, di fronte alla minaccia di malattia e di morte che ha percorso tutta la terra non hanno chinato il capo come organismi rassegnati a un comune destino di morte. Hanno posto domande, hanno cercato rimedi, hanno protestato, discusso, hanno meditato e pregato.
Nella tribolazione si è rivelata la tragica grandezza dell’umanità: grande perché si pone di fronte al comune destino di morte con la pretesa di contestarlo, tragica perché la sua protesta che chiama in causa il cielo e la terra si rivela impotente e sconfitta. L’umanità sa della sua sconfitta. La sua tragica grandezza è la coscienza. È una povera fragile canna, ma è una canna pensante, come diceva il filosofo.
L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa. Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe comunque più nobile di ciò che l’uccide perché sa di morire e conosce il potere che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla.
Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È da qui che bisogna partire, non dallo spazio e dalla durata, che noi non sapremmo riempire.
Impegniamoci quindi a pensare bene: ecco il principio della morale. (Pascal, pensieri, 186)
- L’insopprimibile desiderio di affetti e di relazioni.
Tra i molti aspetti della tribolazione che stiamo vivendo, quello che ha lasciato ferite più profonde risulta quell’isolamento imposto dalle cautele e dai protocolli che ha strappato le persone care alle ultime carezze. Si può accettare che l’età e le patologie portino alla morte, ma questo morire da soli, questo scomparire senza l’estremo saluto, senza gli adempimenti degli ultimi gesti di pietà è stato sofferto come una inadempienza incolpevole eppure che tormenta. Ha lasciato un senso di colpa, infondato, eppure corrosivo.
In questo la gente di questa terra rivela la profondità del suo sentire e una dimensione commovente della sua grandezza: siamo fatti per intensità di affetti, siamo vivi di una vita che ci lega, siamo fatti per volerci bene e per esprimere il volerci bene nei gesti della tenerezza.
Non ci bastano i rapporti funzionali, non cerchiamo sicurezza nell’isolamento, riteniamo stupida la domanda: a che cosa serve l’ultima carezza?
La grandezza dell’umanità è il bisogno di tenerezza, la sua capacità di esprimerla.
- La solidarietà fino all’eroismo.
Che hanno fatto gli uomini e le donne in questi mesi in cui in molti modi è stata diffusa come una ossessione il pericolo del contagio e in molti modi è stato cancellato il mondo e le sue tragedie come se l’unico problema sulla faccia della terra fosse il Covid 19?
Qui si è rivelata la grandezza della gente di questa nostra terra. Uomini e donne sono rimasti al loro posto, hanno continuato a far funzionare il mondo: gli ospedali, le parrocchie, le scuole, i trasporti, i negozi, le mense per i poveri. Uomini e donne di buona volontà, con consapevolezza e determinazione, con vigile attenzione e disponibili non di rado all’eroismo, hanno fatto il loro lavoro, là dove era più evidente il pericolo.
Non hanno fatto solo il loro lavoro. Hanno fatto di più. Hanno ritenuto irrinunciabile la solidarietà. Si sono fatti avanti per soccorrere il bisogno dei più fragili. Si sono ingegnati a trovare soluzioni per problemi insolubili, perché non sopportano di lasciare senza risposta una domanda, senza soccorso una necessità.
L’umanità si è rivelata nella sua grandezza per la generosità della solidarietà, senza lasciarsi paralizzare dal rischio e dalle paure.
- La partecipazione alla vita di Dio.
La tragica grandezza dell’umanità che si è rivelata con tratti particolari in questi mesi, in questa nostra terra, ha il suo principio e il suo fondamento. Non è una velleitaria presunzione, non è una costruzione illusoria per combattere la paura di morire. È invece fondata sulla verità più profonda e luminosa: uomini e donne hanno buone ragioni per avere stima di sé, per ammirare con stupore la propria grandezza. Come canta il salmista: Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato (Sal 8,5-6).
Sono infatti partecipi per grazia della natura di Dio, poiché il Figlio unigenito, Gesù Cristo non ritenne un privilegio di essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini (cfr Fil 2,5ss) e così ha reso possibile agli uomini partecipare alla vita di Dio.
Perciò cantiamo il Te Deum, per riconoscere il principio della nostra grandezza: la familiarità con Dio.
Nei momenti drammatici che abbiamo vissuto si è potuto riconoscere la grandezza di uomini e donne: la coscienza di essere vivi e desiderosi di vivere bene, la coltivazione degli affetti e della tenerezza, la serietà nel proprio dovere e la generosità nella solidarietà, la riconoscenza e fiducia in Dio non solo ci danno motivo per cantare il Te Deum, ma ci incoraggiano a continuare a percorrere il cammino che ci sta davanti in modo da essere degni della nostra vocazione e fiduciosi nelle nostre possibilità di far fronte alle sfide, di vincere le battaglie, di ammettere le sconfitte, nella sapienza e nella fierezza d’appartenere a questa umanità amata da Dio.