Uniti nella Speranza

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Card. Betori: è il tempo di una rinnovata missione

Card. Betori: è il tempo di una rinnovata missione

Il mistero della luce è al cuore del Natale. Così abbiamo proclamato, con il prologo del vangelo di Giovanni, il giorno di Natale: Gesù è «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Oggi ci è chiesto di andare incontro a questa luce, per vincere il buio che spesso avvolge la nostra vita. Vale per noi l’invito che il profeta rivolge a Gerusalemme: «Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. […] Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,1.3).

La liturgia della Chiesa accosta il testo del profeta al racconto del vangelo di Matteo e riconosce nei Magi e nella loro ricerca l’immagine della sete di conoscenza della verità, che spinge la ricerca dell’uomo, sottolineando che la ricerca dei Magi è guidata dalla stella del Messia, che Balaam aveva preannunciato sarebbe sorta da Israele (cf. Nm 24,17). Cristo ci è oggi proposto come luce della ricerca dell’uomo.

La pandemia, portando le nostre vite fino ai risvolti più critici, ha frantumato molte delle nostre presunte certezze e ci ha ricondotti alla nostra condizione di uomini in ricerca. È decisivo comprendere i giorni che viviamo non come tempo di privazione ma di purificazione. Una condizione che permette al nostro sguardo di poter essere ricondotto a ciò che è essenziale, al valore alto della vita anzitutto, e poi alla scelta indispensabile della condivisione.

Riconoscere il valore che la vita racchiude in sé indirizza a riscoprire il volto del Creatore, allontanando da noi le chimere dell’uomo artefice di sé stesso o, peggio ancora, apprendista stregone, tentato di mutare la propria natura, secondo i miti del transumanesimo e del postumanesimo, pericolose aspirazioni per un’umanità incapace perfino di governare i suoi rapporti con la natura, al punto da dover subire gli sconfinamenti dei virus.

Ma c’è anche da riscoprire il volto del Dio che è amore, mettendo fine ai disegni di potere che oppongono gli uni agli altri popoli, ceti sociali, le stesse relazioni familiari. L’antagonismo come strumento di soluzione delle differenze e dei conflitti ha mostrato tutti i suoi limiti nel momento in cui in questi giorni abbiamo potuto sperimentare che solo l’intesa senza barriere e la cura rivolta fino agli ultimi sono le strade per non restare tutti sterminati, per non dover accettare un minaccia che continuerà a incombere su di noi partendo da chi abbiamo escluso dalla condivisione.

Il testo del vangelo ci provoca ulteriormente sottolineando come sulla strada dell’incontro con la verità e l’amore, che si mostrano nel volto del Bambino di Betlemme, troviamo non solo dei sapienti cercatori di senso, ma uomini che vengono dall’Oriente, vale a dire non dal grembo del popolo di Dio bensì dalle lontane terre di altre tradizioni e culture, anche di altre esperienze religiose. In loro prende forma quanto aveva predetto il profeta Isaia a riguardo di Gerusalemme: «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore» (Is 60,6).

Gesù viene a manifestarsi per tutti, per giungere fino ai confini stessi del mondo. E questo perché da lui nasce un popolo, la Chiesa, che abbraccia tutti i popoli senza distinzioni. Come ha detto san Paolo, «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6). Nessuno è escluso dalla salvezza di Dio.

Abbattendo il muro che separava i popoli, i sapienti che vengono dall’Oriente si aggiungono ai “poveri del Signore” che già circondano il neonato: la madre Maria, Giuseppe suo sposo, i pastori. Quel Bambino è venuto per tutti e a tutti si propone come luce del mondo. La dimensione missionaria connota da subito la presenza tra noi del Salvatore e la trasmette anche agli inizi della Chiesa, da lui mandata a fare discepoli tutti i popoli e a battezzare tutti gli uomini (cf. Mt 28,19). Alla Chiesa si rivolgono ora le parole di Isaia, perché sia consapevole che in Gesù essa ha ricevuto una luce gloriosa che, brillando in lei, la rende fonte di luce per tutti i popoli della terra.

Questa consapevolezza e questo slancio missionario hanno bisogno di essere oggi rinnovati con convinzione nelle nostre comunità, e per la nostra Chiesa fiorentina prendono il volto del Cammino sinodale a cui ci siamo impegnati rispondendo al mandato affidatoci da Papa Francesco nel discorso pronunciato cinque anni fa in questa cattedrale. Un cammino in cui egli ci ha invitati ad assumere i sentimenti stessi di Gesù – umiltà, disinteresse e beatitudine – per guardare al mondo con occhi che permettano di discernere nella verità e nell’amore il bene di tutti, con particolare attenzione a coloro che sono alle periferie dell’umanità. Un cammino di discernimento che ci orienti nel rendere una testimonianza credibile del Vangelo, tale da entrare in dialogo con ogni esperienza umana e a poter essere riconosciuta come risposta alle domande più profonde che sorgono dal cuore dell’uomo. Proprio quest’orizzonte di dialogo e di incontro con le culture del nostro tempo è proposto come il traguardo a cui dirigere il nostro impegno nell’attuale fase del Cammino.

Occorre prendere maggiore consapevolezza che non solo nei paesi lontani, ma anche tra noi è il tempo di una rinnovata missione, verso coloro che non hanno mai conosciuto Cristo, perché giunti tra noi da nazioni e culture lontane, perché figli di una società che ha cancellato i segni della fede dalla sua cultura e non ne ha trasmesso la conoscenza nella catena delle generazioni, perché reduci da vicende di vita che ne hanno offuscato i riferimenti ultimi inducendo a ripiegarsi su sé stessi, senza speranza. Occorre suscitare interrogativi che aprano le menti e i cuori alla proclamazione dell’annuncio. Occorre rendere più trasparenti ed efficaci i modi con cui la novità del Vangelo viene testimoniata nel mondo nelle forme del servizio della carità ma anche in quello della cultura. Il Vangelo va mostrato come vita in pienezza.

Lo splendore della gloria di Dio, di cui parla Isaia e di cui rendono testimonianza i Magi, è capace infatti di gettare una luce nuova oltre l’impossibile delle tenebre umane, rivelando l’identità vera dell’umano. La missione cristiana non è conflitto con l’uomo e le sue aspirazioni, ma svelamento all’uomo delle sue attese più autentiche e del dono, il Cristo Gesù, che le soddisfa in pienezza. Anche per noi, come per i Magi, c’è una gioia grandissima, a cui rispondere con l’adorazione e il dono di noi stessi.