Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Mons. Angiuli: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”

Mons. Angiuli: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”

Cari fratelli e sorelle, l’Epifania è la manifestazione universale di Cristo alle genti e la chiamata di tutti gli uomini a credere in lui. La sua rivelazione procede gradualmente dai più vicini ai più lontani: da Giuseppe e Maria, ai pastori, ad alcuni abitanti di Betlemme, ai Magi in rappresentanza di tutti i popoli. L’Epifania è la festa di tutti coloro che cercano la luce, che seguono una stella, che sognano un mondo di giustizia, di pace e hanno l’umiltà di prostrarsi ad adorare il Signore. Il Natate ci insegna a vedere Dio, l’Epifania ci esorta ad adorarlo. Secondo il ritornello del salmo responsoriale, è questa la vocazione di tutti gli uomini: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra».

 Mendicanti di Dio con la nostalgia del cielo

Nella vicenda dei Magi, la fede cristiana vede il simbolo e la realizzazione della profezia di Isaia: «Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te» (Is 60, 3-4). Magi insegnano l’audacia della ricerca e la forza dirompente e trainante del desiderio che orienta il cammino verso una meta intravista come buona e attraente, una luce splendente come una stella che sovrasta tutte le altre e illumina l’oscurità della notte.

È la sete di Dio che accomuna gli uomini. Dio va atteso, desiderato, cercato. L’uomo rimane sempre un cercatore di Dio, un mendicante del cielo. Pone i suoi piedi su strade piane o in salita; cammina con passo lento o deciso, avendo sempre nel cuore la passione per l’assoluto. Camminando si apre il cammino. Il Vangelo invita a cercare il volto di Dio che si è rivelato in Gesù, con la pazienza e l’amore di un amico o di un amante e assicura che il desiderio sarà esaudito.

La difficoltà della ricerca di Dio

Questo, tuttavia, non sempre accade. La difficoltà dell’uomo contemporaneo a trovare ciò che il suo cuore desidera è descritta in un famoso racconto di Kafka, Il messaggero dell’imparatore. Riporto per intero il racconto: «L’imperatore – così si dice – ha inviato a te, al singolo, all’umilissimo suddito, alla minuscola ombra sperduta nel più remoto cantuccio di fronte al sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha mandato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero accanto al letto e gli ha bisbigliato il messaggio nell’orecchio; tanto gli stavi a cuore che s’era fatto ripetere, sempre all’orecchio, il messaggio. Con un cenno del capo ne ha confermato l’esattezza. E dinanzi a tutti coloro che erano accorsi per assistere al suo trapasso: tutte le pareti che ingombrano sono abbattute e sulle scalinate che si ergono in larghezza e in altezza stanno in cerchio i grandi dell’impero; dinanzi a tutti questi ha congedato il messaggero. Il messaggero s’è messo subito in cammino; un uomo robusto, instancabile; stendendo a volte un braccio, a volte l’altro fende la moltitudine; se incontra resistenza indica il petto dove c’è il segno del sole; egli avanza facilmente come nessun altro. Ma la moltitudine è enorme, le sue abitazioni non finiscono mai. Come volerebbe se potesse arrivare in aperta campagna e presto udresti il meraviglioso bussare dei suoi pugni al tuo uscio. Invece si affatica quasi senza scopo; si dibatte ancora lungo negli appartamenti del palazzo interno; non li supererà mai, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; dovrebbe lottare per scendere le scale, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; bisognerebbe attraversare i cortili, e dopo i cortili il secondo palazzo che racchiude il primo; altre scale, altri cortili; e un altro palazzo; e così via per millenni; e se riuscisse infine a sbucare fuori dal portone più esterno – si troverebbe ancora davanti la capitale, il centro del mondo, ricoperta di tutti i suoi rifiuti. Nessuno può uscirne fuori e tanto meno col messaggio di un morto. Tu, però, stai alla tua finestra e lo sogni, quando scende la sera».

Il racconto di Kafka è l’esatto contrario della vicenda dei Magi. Per lo scrittore praghese Il messaggero non trova la via per portare a destinazione il messaggio. L’uomo non può trovare Dio, perché egli è assolutamente inaccessibile. Dio rimane ignoto e invisibile e l’uomo vive in attesa di una rivelazione che non arriverà mai. Intuisce che c’è qualcosa che lo concerne. Sa che è stata inviata una missiva diretta proprio per lui. Il suo contenuto però rimane nascosto, come fosse un segreto arcano, ardentemente desiderato. Non rimane se non vivere “etsi Deus non daretur”.

Dio in cerca dell’uomo

Per i Magi, invece, la ricerca giunge a buon fine. Basta mettersi in cammino e seguire la stella. Per questo il salmista loda chi cerca Dio (cfr. Sal 69,33; 105,3-4). Anche Gesù invita a cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33), promettendo l’esaudimento della ricerca (cfr. Mt 7,7). La parola latina quaerere non significa soltanto “cercare”, ma anche “chiedere, porre una domanda”. Cercare Dio vuol dire non stancarsi di chiedere di lui. L’uomo è una domanda infinita che non si appaga di nessuna risposta. Questa è la sua miseria e la sua grandezza: è capace di porsi domande infinite alle quali è incapace di dare risposte. Dio è la risposta ultima e definitiva.

L‘uomo, però, va incontro a Dio «a tentoni» (At 17,27). La difficoltà è superata da Dio stesso. Da buon pastore, è lui a mettersi in cerca della pecora smarrita (Mt 18,12-13) e a mostrare il suo volto. Il Natale è il segno del movimento discendente di Dio, senza il quale non sarebbe possibile nessun movimento ascendente. È Dio ad aprire la strada che lo porta fino alla sua creatura. Il luogo dove lui risiede è una casa in mezzo alle case degli uomini. Non teme il non riconoscimento, la diffidenza e perfino il rifiuto. Con l’incarnazione del Verbo, Dio si è fatto vicino e accessibile all’uomo. Si lascia trovare senza imporsi con violenza, ma sollecitando l’adesione libera e responsabile. Rende possibile l’incontro attraverso la stella e invita ad aprire lo scrigno del cuore.

La meta: inginocchiarsi e adorare

La ricerca ha una sua finalità specifica: adorare. Fin dall’inizio i Magi si mettono in camino con questo preciso intento (cfr. Mt 2,2). Avevano i loro dèi nei loro paesi, ma essi cercano il vero Dio: Cristo. La Prima Lettera di Giovanni si conclude con queste parole: «Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il Vero. E noi siamo nel Vero, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna. Figlioli, guardatevi dai falsi dèi!» (1Gv 5, 20-21). I Magi trovano il vero Dio a Betlemme, si prostrano e lo adorano (cfr. Mt 2,11).

Adorare è l’atto intenzionale e conclusivo del viaggio dei Magi, ma è anche la conclusione di tutto il Vangelo (cfr. Mt 28,17). Adorare Dio è il fine della ricerca da parte degli uomini. «Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il creatore dell’universo […] chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra». L’adorazione è inizio e fine della vita, alpha e omega dell’esistenza, desiderio e atto, fine verso cui orientarsi e meta da raggiungere. La tentazione è spostare l’adorazione da Dio all’idolo (cfr. Mt 4, 9-10; Lc 4,8).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che «l’adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore. Essa esalta la grandezza del Signore che ci ha creati e l’onnipotenza del Salvatore che ci libera dal male. È la prosternazione dello spirito davanti al ‘Re della gloria’ e il silenzio rispettoso al cospetto del Dio ‘sempre più grande di noi’. L’adorazione del Dio tre volte santo e sommamente amabile ci colma di umiltà e dà sicurezza alle nostre suppliche». Adorare Dio è una necessità intrinseca dell’uomo. Non si può veramente vivere senza adorare. Nell’adorazione l’uomo scopre la sua vera dimensione, incontra il suo riposo, raggiunge la pace.

L’atto di adorazione coinvolge la totalità della persona in quanto è offerta di lode, di ringraziamento e di reverenza. Adorare non è altro se non essere innamorati di Dio così personalmente e perdutamente che non esiste neppure remotamente il pensiero di poter venire meno a quell’amore. L’adorazione, come l’amore, si impara adorando. San Tommaso d’Aquino spiega che l’adorazione consta di due movimenti: interno ed esterno. «È in primo luogo una forma interiore di riverenza verso Dio, che solamente in conseguenza di questo poi si esprime in gesti esteriori di umiltà: flettere il ginocchio in segno della nostra debolezza e imperfezione rispetto a Dio, fino a prostrare noi stessi completamente a terra, al fine di mostrare che da soli, senza Lui, noi siamo nulla». Adorare è innanzitutto un movimento di un cuore redento, occupato con Dio. «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori», esorta l’apostolo Pietro (1Pt 3,15).

Il Vangelo di Giovanni aggiunge: «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità» (Gv 4,23-24). Per il Figlio accediamo nello Spirito al Padre e per questo l’adorazione di Cristo è anche adorazione della santissima Trinità. «Come il Padre si rende visibile nel Figlio, così il Figlio si rende presente nello Spirito. Perciò l’adorazione nello Spirito indica un’attività del nostro animo, svolta in piena luce. […] Dunque nel modo come intendiamo adorazione nel Figlio, come adorazione cioè nell’immagine di colui che è Dio e Padre, così anche dobbiamo intendere adorazione nello Spirito, come adorazione a colui che esprime in se stesso la divina essenza del Signore Dio. Giustamente, dunque, nello Spirito che ci illumina noi vediamo lo splendore della gloria di Dio. Per mezzo dell’impronta risaliamo al sigillo e a colui al quale appartiene l’impronta e il sigillo e al quale l’una e l’altra cosa sono perfettamente uguali».

L’adorazione trasforma. Per questo precede e segue la celebrazione eucaristica. «Nessuno – afferma sant’Agostino – mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo». In tal mondo, la ricerca di Dio non solo trova il suo esaudimento, ma opera un radicale cambiamento della persona, trasformandola completamente in colui che ha rapito il suo cuore. Si realizza il meraviglioso scambio. I Magi offrono a Cristo i loro doni e si prostrano in adorazione. Cristo accoglie la loro povera umanità e in cambio dona la sua divinità.

Si mostra così il valore della festa dell’Epifania: comprendere il fine della vita umana. Vivere è cercare; cercare è amare; amare è adorare; adorare è trasfigurare. Chi adora si trasforma in colui che adora e da uomo diventa Dio.