Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Mons. Angiuli: Figli di Dio, per grazia ricevuta

Mons. Angiuli: Figli di Dio, per grazia ricevuta

Cari fratelli e sorelle, il messaggio di questa domenica è particolarmente esaltante: per grazia siamo figli di Dio! Gesù è Figlio per generazione divina, noi lo siamo per adozione. Nel Battesimo, lo Spirito Santo ci genera in Cristo alla vita nuova e ci rende figli del Padre celeste, con una precisa identità vocazionale e missionaria.

 

L’oggi liturgico, un diamante dalle molteplici sfaccettature

Prima di riflettere sul mistero del Battesimo è opportuno richiamare il valore dell’anno liturgico dal momento che questa domenica segna Il passaggio dal tempo di Natale al tempo ordinario. L’anno liturgico ci insegna a ragionare secondo la logica misterica. Nell’oggi liturgico si attua l’oggi di Dio. Si manifesta cioè l’intera storia della salvezza che si riassume e si concentra nel mistero di Cristo. Anche se celebriamo, di volta in volta, un particolare mistero della vita di Cristo, è presente l’intero mistero salvifico. Il mistero, infatti, è uno. Accade nel tempo ed è sempre presente nell’eternità. I misteri della vita di Cristo, accaduti nella storia, sono resi presenti nell’oggi dal rito liturgico. La liturgia, pertanto, è la contemporaneità della salvezza in ogni tempo. Ogni volta che celebriamo i misteri di Cristo essi si rendono presenti nella loro singolarità e nella loro stretta interdipendenza. La Chiesa vive di questa contemporaneità.

Per comprendere questa verità prendo ad esempio il diamante, una pietra preziosa che raffigura l’energia cosmica, l’anima del creato, dove ogni manifestazione di vita è una sua millesima sfaccettatura, distinta una dall’altra e contemporaneamente parte della stessa unità. Anche se le sfaccettature del diamante sono molte, unica è la luce che lo rende prezioso. Percepiamo la sua luminosità come scintillio derivante dal contrasto tra il bianco e il nero prodotto dal riflesso della luce; come fuoco per la dispersione della luce nei diversi colori spettrali; come brillantezza causata dai riflessi della luce bianca sulla superficie e all’interno del diamante. Più pulita e levigata è ogni sfaccettatura, più brillante e irradiante è il diamante.

Considero il diamante in un duplice significato simbolico: teologico e antropologico. Sul piano teologico, rappresenta l’intera storia della salvezza. Le sue sfaccettature richiamano le tappe storiche e le celebrazioni rituali. Sul versante antropologico, il diamante raffigura il nostro essere interiore, la nostra vera natura, unica e irripetibile, dotata anch’essa di molteplici e differenti aspetti. I diamanti giacciono nella terra incastonati fra le pietre e nascosti dai detriti, tanto che per trovarli occorre scavare in profondità. Anche il mistero di Dio e il mistero dell’uomo nascondono preziose verità negli avvenimenti storici e nelle vicende umane. Bisogna scavare e portare alla luce il loro significato spirituale, e così far risplendere il mistero nella sua piena lucentezza.

Tagliando un diamante grezzo, l’artista deve riuscire a realizzare un taglio ottimale, mantenendo il massimo di materia possibile. Un diamante ben proporzionato avrà ogni sfaccettatura correttamente disposta ed inclinata per massimizzare la quantità di luce riflessa dalla corona del diamante. Dio, come un grande artista e un sapiente intagliatore di diamanti, “lavora” la storia personale e collettiva e la fa risplendere della sua luce divina. I misteri di Cristo sono le differenti sfaccettature della storia della salvezza che la liturgia ripresenta nella loro unità e singolarità.

Si comprende allora la stretta interdipendenza che esiste tra il Natale, l’Epifania e il Battesimo di Gesù. Questi eventi sul piano storico sono accaduti in momenti distanti tra di loro. Sul piano misterico sono interdipendenti tra di loro. A tal proposito, san Massimo il Confessore scrive: «Il Vangelo racconta che Gesù venne al Giordano per farsi battezzare e in quel fiume volle essere consacrato con prodigi celesti. La ragione esige che questa festa segua quella del Natale del Signore, perché i due eventi si verificarono nel medesimo tempo anche se a distanza di anni. Ecco perché ritengo che la festa si debba chiamare anch’essa Natale. Nel giorno che diciamo Natale egli nacque tra gli uomini, oggi è rinato nella manifestazione divina; in quel giorno nacque da una vergine, oggi è generato nel mistero. Prima, nascendo alla maniera degli uomini, viene stretto al seno da Maria; ora generato secondo il mistero, è avvolto dalla voce del Padre che dice: «Questi è il mio Figlio nel quale io mi sono compiaciuto: ascoltatelo» (Mt 17,5). La Madre accarezza dolcemente il piccolo sul suo grembo, il Padre offre al Figlio un’amorosa testimonianza; la Madre lo presenta ai Magi perché lo adorino, il Padre lo rivela ai popoli perché gli rendano onore».

 

Il cristiano rivive i misteri della vita di Cristo

La vita cristiana consiste nella conformazione a Cristo e questa si realizza vivendo i suoi stessi misteri. Il Natale, l’Epifania e il Battesimo di Gesù sono tre misteri che, nella loro unitarietà, annunciano la nascita di Cristo, la sua manifestazione alle genti e la rivelazione della sua identità di Figlio di Dio e di Messia (cfr. Mc 1,1). «Nel giorno solenne del trascorso Natale del Signore – scrive il Proclo di Costantinopoli – la terra si rallegrava, perché portava il Signore in una mangiatoia; nel presente giorno dell’Epifania il mare trasalisce di gioia; tripudia perché ha ricevuto in mezzo al Giordano le benedizioni della santificazione. Nella passata solennità ci veniva presentato come un piccolo bambino, che dimostrava la nostra imperfezione; nella festa odierna lo si vede uomo maturo che lascia intravedere colui che, perfetto, procede dal perfetto. In quella, il re ha indossato la porpora del corpo; in questa, la fonte circonda il fiume e quasi lo riveste. Suvvia dunque! Vedete gli stupendi miracoli: il sole di giustizia che si lava nel Giordano, il fuoco immerso nelle acque e Dio santificato da un uomo».

Considerando questi misteri nella loro singolarità possiamo dire che il Natale di Cristo è il nostro Natale. A Natale, Cristo nasce spiritualmente in noi e noi nasciamo spiritualmente in lui. Non meraviglia dunque quanto afferma san Leone Magno: «Mentre celebriamo in adorazione la nascita del nostro Salvatore, ci troviamo a celebrare il nostro inizio: la nascita di Cristo segna l’inizio del popolo cristiano; il natale del Capo è il natale del Corpo. Sebbene tutti i figli della Chiesa ricevano la chiamata ciascuno nel suo momento e siano distribuiti nel corso del tempo, pure tutti insieme, nati dal fonte battesimale, sono generati con Cristo in questa natività».

L’Epifania di Gesù è la manifestazione del vero Dio alle genti. Pertanto, scrive sant’Agostino, «anche noi siamo stati condotti ad adorare Cristo dalla verità che risplende nel Vangelo, come da stella nel cielo; anche noi, riconoscendo e lodando Cristo nostro re e sacerdote, morto per noi, lo abbiamo onorato come con oro, incenso e mirra. Ci manca ora soltanto di testimoniarlo, prendendo una nuova via, ritornando da una via diversa da quella per la quale siamo venuti».

Con il battesimo al Giordano, Cristo manifesta di essere Figlio, Messia e Servo di Dio (cfr. Mc 1,9-11). Si possono riconoscere molti elementi della narrazione evangelica legati all’Antico Testamento: l’apertura dei cieli (cfr. Is 63,19); la presenza della colomba (Spirito) con un’allusione alla creazione (Gn 1,2) e al diluvio (Gn 8,8); le parole che giungono dal cielo alludono alla figliolanza divina (cfr. Sal 2,7), al servo del Signore (Is 42,1) e al figlio amato del racconto di Abramo e Isacco (cfr. Gn 22,2).

Riempito di Spirito Santo, Cristo inizia la sua missione. Anche noi mediante il lavacro battesimale, siamo generati dallo Spirito come figli nel Figlio e siamo incorporati alla Chiesa, ognuno con una precisa vocazione e missione. Assumendo la nostra natura umana, Cristo «ci trasforma a somiglianza di Dio. Divenuto figlio dell’uomo, lui unico figlio di Dio, rende figli di Dio molti figli degli uomini. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio».

 

Il Figlio è il modello della nostra figliolanza adottiva

Essere figli consiste nel riscoprire continuamente la propria ‘origine’. Il significato della nascita, e restituito dalla vicenda di Gesù, l’unigenito figlio del Padre, nato da Maria. «Tu sei mio figlio» è la rivelazione del Padre nel Battesimo di Gesù. Egli dona a noi la sua stessa identità. Abbiamo così accesso alla stessa relazione che egli intrattiene con il Padre. Siamo “figli nel Figlio”! Questa rivelazione ci riguarda, come afferma san Paolo scrivendo ai Galati: «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,26).

Figli si nasce. Questo vale per Gesù e vale anche per noi. Cristo è generato eternamente dal Padre e nasce nel tempo da Maria. Sperimenta una duplice esperienza di figliolanza: come Dio in riferimento al Padre, come uomo in riferimento a Giuseppe e a Maria. Anche la nostra nascita è duplice: alla vita naturale e alla vita di grazia. In entrambi i casi, nascere implica il riposare su un altro diverso da noi. Occorre un atto costante di acconsentimento e di accoglienza dell’origine donata da altri e viverla con un gesto di obbedienza.

Figli si diventa. Essere figli non è solo uno stato, ma è anche un compito. L’essere figli è originaria passività, divenire figli è la ripresa attiva del dono originario. Divenire figli è benedire il nostro inizio e coloro che lo hanno permesso con il loro amore. Anche questo si realizza nella vita di Gesù e nella nostra esistenza. Vivendo si impara a conoscere e a manifestare la propria figliolanza. Il dono ricevuto rende possibile divenire quello che si è.

L’essere e divenire figli, nella loro inseparabilità, non riguardano una fase della vita, ma l’intera esistenza. Si è sempre figli anche quando si diventa padri. Tutta la vita di Gesù è una storia filiale. Egli impara ad essere figlio dalle cose che patisce (cfr. Eb 5,8). Diventa così modello della nostra esperienza di figliolanza. Nessuno ha con il Padre un rapporto simile al suo. Il Verbo vive in modo singolare questa relazione perché è costantemente rivolto al Padre (cfr. Gv 1,1.18). Il testo del prologo giovanneo evoca una relazione di contatto come se il Figlio reclinasse la sua testa sul petto del Padre, in una sintonia unica e insuperabile con il suo sentire e il suo volere. Il «discepolo amato» (cfr. Gv 13), che a tavola reclina il capo sul petto di Gesù, vivrà un’esperienza simile a quella del Figlio nei riguardi del Padre.

Gesù sa ciò che ‘piace’ al Padre, sente ciò che il Padre desidera e acconsente alla sua volontà. Il Padre conosce e guarda il Figlio con sguardo di predilezione. Il Figlio è l’agapetòs, il molto amato, l’amato più di ogni altro. Tuttavia egli non ha tenuto per sé questa relazione con il Padre. Essa è unica, ma non esclusiva. Per natura sua è coinvolgente. Ha reso possibile anche a noi intrecciare una relazione filiale con il Padre. Rimanendo sotto lo sguardo del Figlio, diventiamo figli perché ci lasciamo plasmare dalla relazione di Gesù con il Padre. Quando un padre e una madre mettono al mondo un figlio, per il fatto stesso di volerlo in vita, gli rivolgono implicitamente una promessa di fiducia e di valore della vita rassicurandolo sulla loro presenza, la loro cura e la loro vicinanza.

Accettare di essere figli e vivere da figli è la forma singolare della fede cristiana. Così è stato per Gesù, così è per ogni suo discepolo.  Nella storia di Gesù, nelle sue parole e nei suoi gesti fino al culmine dell’evento pasquale, egli racconta l’amore del Padre, i suoi desideri e la sua accoglienza. La cura del Padre consente a Cristo di vivere come Figlio e di donare ai suoi discepoli la medesima identità. Egli, infatti, ha dato il «potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13).

Il Battesimo ci introduce nella grazia dell’origine, ci consente di essere e diventare figli. «Tutto – scrive san Gregorio Nazianzeno – è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore».

Da quel momento il nostro compito è da mettere al mondo il “figlio” che noi siamo. Dobbiamo far rinascere continuamente il figlio che è in noi sul piano naturale e su quello sacramentale attraverso la preghiera, l’obbedienza e l’offerta della nostra vita.