Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Mons. Brambilla: “Un anno per rinascere”, discorso alla città e alla diocesi

Mons. Brambilla: “Un anno per rinascere”, discorso alla città e alla diocesi

Il breve vangelo del battesimo di Gesù contiene gli elementi essenziali che ci aiutano a pensare all’anno appena iniziato come un tempo di rinascita. “Rinascere”: questo è il tema che ho tratteggiato nel messaggio di Natale e che voglio approfondire oggi nella festa patronale di San Gaudenzio. Se l’anno scorso abbiamo drammaticamente scoperto di essere mortali, fragili e vulnerabili, quest’anno dobbiamo accogliere il dono di essere natali, generativi e solidali. In questo episodio è messa in scena la vocazione di Gesù come chiamata alla rinascita. Ciò che per Gesù rivela la sua vocazione e missione, diventa per noi oggi un appello alla creatività e responsabilità. Si può articolare il senso del racconto in cinque momenti.

1. Venne da Nazareth – in fila coi peccatori. La prima apparizione di Gesù nel vangelo di Marco è indimenticabile. Gesù viene da Nazareth di Galilea. La sua origine non sembra promettere nulla di nuovo. Giovanni Battista, invece, è tratteggiato come profeta apocalittico, con la scure in mano per tagliare l’albero infruttuoso e il ventilabro per separare il grano dalle sue scorie. Gesù, come ogni uomo che viene in questo mondo, è il figlio della promessa. Viene nel mondo come tanti altri, perché da Nazareth non viene nulla di buono. Per il lettore del vangelo di Marco l’introduzione del personaggio principale avviene in forma dimessa e oscura (Mc 1,9). Gesù è collocato in fila tra i peccatori per ricevere il battesimo di conversione escatologica dato da Giovanni. Tant’è vero che l’evangelista Matteo sembra sconvolto dal fatto che Gesù si metta in fila tra i peccatori. Come mai il figlio nato da Maria e da Spirito Santo (Mt 1,20) è in fila con i peccatori? Per questo Matteo introduce un piccolo dialogo, per spiegare perché accada questo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14). Gesù non ha bisogno di conversione. La risposta di Gesù è sibillina: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,15). Il Battista lascia fare, permette che anche Gesù passi sulle strade del mondo, sperimenti che cosa significa essere-per-la-nascita. Nascere non è un inizio assoluto. Il primo passo della nascita è un dono da ricevere, è rivestire la carne dentro una famiglia umana, è “venire” in questo mondo per prendere su di sé la storia e la religiosità di chi ci precede. Per questo nei prossimi mesi dobbiamo ascoltare l’appello a rinascere. Mentre aspettiamo il vaccino come viatico per una vita nuova, non possiamo non farci una domanda: che cosa dobbiamo lasciare dell’uomo vecchio e che cosa possiamo far rinascere nel tempo nuovo? Abbiamo qualche mese per metterci anche noi in fila tra i sopravvissuti e i salvati. Invito tutti a fissare nella mente e nel cuore che cosa non possia­mo continuare ad essere e a fare come accadeva prima. Il tempo che ci separa dalla rinascita porta con sé l’appello a una decisione esistenziale, personale, familiare e sociale.

2. Uscendo dall’acqua. Gesù ripercorre con il suo popolo il passaggio del Mar Rosso. È un evento di liberazione e di salvezza: nascere è uscire-da (Egitto), passare-attraverso (il deserto), per entrare-in (terra promessa). Gesù non solo sta in fila col suo popolo, ma lo precede come nuovo Mosè nel tortuoso cammino di liberazione, per entrare nella terra dove scorre latte e miele. Il movimento di “uscita” è il secondo passo dell’essere-per-la-nascita. Lasciare il grembo materno è un rischio e una sfida, per chi si avventura nel cammino della vita. Nazareth è stata per Gesù la casa in cui si è immerso nella storia del suo popolo. Gesù ha imparato da Maria e Giuseppe a sillabare il senso delle cose per seminarvi il dono di Dio. Nazareth è il tempo in cui Gesù si è “immerso” per trenta interminabili anni nel terreno della religiosità dei padri, nello sguardo sul mondo e nella compagnia degli uomini, per “uscire” a donare il mistero del Regno. Questo è il mistero di Nazareth: Gesù, la parola di Dio in persona, si è sottoposto a una lunga immersione nella nostra umanità (trent’an­ni), perché (in soli tre anni) la sua parola e la sua azione potessero esprime il mistero del regno di Dio. Da dove vengono le parole e le immagini di Gesù, la sua capacità di guardare i campi, il contadino che semina, la messe che biondeggia, la donna di casa, il pastore che ha perso la pecora, il padre e i suoi figli, il pescatore che raccoglie a riva i pesci? Dove ha imparato la sua sorprendente abilità a raccontare, paragonare, immaginare, pregare nella vita, se non dall’immersione nell’humus (da cui deriva “umiltà”) di Nazareth? Questo è il secondo passo dell’essere-per-la-nascita. Nudi nasciamo e moriamo lasciando ogni cosa. Rinascere allora richiede di concentrarsi sull’essenziale. La vita che ci è stata donata in modo nuovo va addomesticata. Bisogna farle trovare una casa in cui poter crescere, per affrontare l’avventura del futuro. Senza il tempo in cui la Parola diventa carne, non è pensabile che la carne accolga lo Spirito. Forse possiamo dire questo: il secolo XXI inizia solo quest’anno! La crisi del 2008 era stata solo un preavviso. Il terzo millennio forse nasce solo ora. Dobbiamo rinascere abbandonando l’uomo vecchio e tutta la sua zavorra, per concentrarci sull’essenziale.

3. Discese lo Spirito. Al movimento ascendente dell’uscita dal­l’ac­qua corrisponde il movimento discendente dello Spirito che squarcia il cielo. La sua discesa feconda l’acqua battesimale per farla diventare luogo dello Spirito. Dalla lunga gestazione nel grembo umile di Nazareth sale il grido perché si aprano i cieli. L’invocazione nostalgica del profeta post­esilico: «se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19) è rimasta senza risposta per tanti secoli dal ritorno dall’esilio babilonese (dal VI sec. a.C. al tempo di Gesù). Il cielo sembrava sigillato. L’apertura del cielo porta con sé la voce che scende dell’alto. Prima di ascoltare la voce bisogna contemplare una “visione”: «vide discendere lo Spirito su di Lui come colomba» (Mc 1,10). La “visione” è insieme atto di percezione e realtà percepita. È il modo in cui l’uomo può trasformare i doni ricevuti dalla natura e dalla cultura, dai genitori e dal mondo, per ereditarli personalmente. Senza “visione” che fonde la coscienza di sé e la percezione del mondo, che tiene uniti l’io e l’altro, che fa memoria del passato e anticipa il futuro, non è possibile essere toccati dal soffio dello Spirito. La trasmissione della vita come fatto organico dev’essere accompagnata dal dono di una visione come realtà spirituale. Non si “viene alla luce” se non si riceve anche “una luce per vivere”. Non si può trasmettere senza lasciar ereditare. L’essere-natale non ha bisogno solo del corredo dei beni ricevuti, ma deve accogliere anche la dotazione dei doni dello spirito. Questa è l’atmosfera in cui può discendere lo Spirito Santo. Nel solco della storia spirituale di Israele, Gesù è toccato dal soffio vivificante dello Spirito. Lo Spirito è vento, forza, energia, soffio vitale ed entra nella vicenda umana di Gesù e la smuove dal di dentro per trasformarla e santificarla. Il mondo che Gesù ha ricevuto nella cultura e nella religiosità del suo popolo diventa il mondo nuovo del Regno. Ciò accade in gesti e parole, in parabole e segni di liberazione, in incontri che scaldano il cuore e cambiano le relazioni personali e sociali. Ecco forse il passo più importante: dopo la decisione esistenziale e lo sforzo di concentrarsi sull’essenziale, bisogna che scommettiamo sull’educazione. I nostri ragazzi, adolescenti e giovani, sono stati vaganti e dispersi per oltre un anno. Accanto alla gratitudine per i docenti e gli operatori del mondo della scuola che hanno tenuto viva la fiaccola della formazione, è necessario ora suonare lo squillo di tromba per ricuperare una straordinaria passione educativa. Genitori, scuola, università, società civile e comunità cristiana sanno che qui sta la scommessa più grande. Senza visione e senza formazione, non si va da nessuna parte. Mettiamo al centro la componente educativa della società per assicurarci nel futuro donne e uomini che hanno una visione creativa del mondo.

4. Una voce dal cielo. Mentre lo Spirito discende su Gesù, risuona dal cielo una voce. Dalla visione da contemplare egli passa alla voce da ascoltare. La voce è una parola che è indirizzata direttamente a Gesù in Marco e in Luca, è un annuncio rivolto anche a noi in Matteo. La prima è la voce della vocazione, la seconda è la voce della missione. Il battesimo di Gesù è il racconto della sua vocazione e così diventa la consegna della sua missione. Gesù ascolta la voce dal cielo indirizzata a Lui: «Tu sei il Figlio mio…» (Mc 1,11 e Lc 3,21). È solo dall’ascolto della voce dal cielo che l’essere-natale scopre la sua vocazione. Si può rinascere solo ascoltando una voce che viene dall’alto. Singolarmente per Gesù, universalmente per tutti noi. È bello che la vocazione di Gesù fiorisca nel grembo della tradizione e della cultura religiosa del suo popolo, nutrita dalla legge, dai profeti e dai sapienti. Non rinasceremo solo perché torneremo a vivere senza pericolo di contagiarci. Senza il corredo di una visione e di una luce spirituale la nostra rinascita sarà solo un ritorno alla spensieratezza di prima: l’abbiamo visto l’estate scorsa e si ripete ogni volta che vengono allentate le regole delle zone rosse o arancioni. Rinascere è possibile solo stando nella circolarità tra visione e chiamata. In essa l’uomo è generato alla vita adulta e potrà entrare nel futuro prossimo. Qui vorrei dire una parola capace di aprire nuove strade: scendiamo in campo insieme per la rinascita. Le forze sociali, il mondo del volontariato e della carità, la società civile, i rappresentanti della politica e la gente comune si chiedano: che visione abbiamo, almeno per il prossimo decennio, per il lavoro, l’impresa, la vita della città, l’accoglienza delle nuove povertà? Quando si chiuderà l’ombrello della protezione sociale e della cassa integrazione vedremo forse galleggiare molte vittime. Dovremo affrontare la crudezza della situazione. Faccio una proposta concreta: potrebbe essere opportuno trovare, in questo anno, uno spazio di confronto (“stati generali”) per immaginare il futuro prossimo? La nostra Università ha fatto negli scorsi anni una bella riflessione sul valore socio-culturale del Piemonte Orientale che potrebbe diventare la base di partenza per un dialogo costruttivo aperto a tutti.

5. La rivelazione del Padre. La voce dal cielo è composta da un mosaico di ben tre citazioni dell’Antico Testamento (Sal 2,7; Gen 22,2.12.16; Is 42,1). La prima citazione menziona un canto di intronizzazione regale, utilizzato a corte, quando il Re davidico associava il figlio nella pienezza dei suoi diritti e poteri («Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», Sal 2,7; ma anche Sal 110,1). Essa prefigura il senso messianico del ministero di Gesù. La seconda contiene un’allusione al racconto del sacrificio di Isacco (Gen 22,2.12.16) e si trova nell’espressione “amat(issim)o” (agapetós), usata per indicare il rapporto unico tra Gesù e Chi parla nella voce (il Padre). Gesù non solo è figlio di Davide, ma è il Figlio unico del Padre. La visione e la vocazione di Gesù come figlio di Davide e Figlio di Dio è vissuta dentro il “noi” della comunione con il Padre e lo Spirito Santo. L’essere generato di Gesù cresce solo in un rapporto dialogico, che è insieme movimento di ascesa e discesa, di visione e ascolto. La terza citazione, infine, menziona i carmi del servo di Jhwh (Is 42,1). Il figlio di Davide, che sta in un rapporto singolare con Dio, è mandato per portare il peccato del mondo. Qui si trova finalmente la risposta al fatto sconvolgente del battesimo di Gesù: egli non sta in fila coi peccatori per il proprio peccato, ma per entrare nel mondo del peccato, per portarlo sulle sue spalle, come la pecorella perduta, per guarirne le piaghe e rinnovare dal di dentro i legami feriti dal male. La conclusione del nostro cammino di rinascita domanda urgentemente che mettiamo il “noi” prima del nostro “io”. Se Gesù ha vissuto la sua vocazione e missione nella circolarità dell’amore trinitario, nel futuro prossimo dovremo vivere la chiesa e la vita civile come una società del “noi”. Avremo imparato dal dramma e dalla solitudine dei molti che ci hanno lasciato, se diventeremo capaci di un “personalismo comunitario”: persona e società crescono insieme o muoiono insieme. Come ho detto nel mio recente augurio di Natale: saremo uomini e donne capaci di rinascita, solo se rimetteremo al centro la vita della città, il noi al posto dell’io, la prossimità invece della competizione, la fiducia invece del sospetto, la parola edificante invece della maldicenza, i beni comuni invece dell’accaparramento di pochi, la forza della speranza invece che il contagio della depressione.

Mettiamoci dunque di buona lena per custodire il nostro essere-natali, dopo il travaglio di questo tempo di paura e di morte. La nostra volontà di rinascita è la parola che tutti attendono con ansia nel momento presente. Non possiamo tacere questa parola, perché racconta «la speranza che non delude» (Rm 5,5).