Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Domenica delle Palme. Mons. Caiazzo: abbiamo bisogno anche del vaccino dell’amore

Domenica delle Palme. Mons. Caiazzo: abbiamo bisogno anche del vaccino dell’amore

Abbiamo vissuto il primo momento di questo solenne giorno in questa liturgia rivivendo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, un momento di gioia, un momento di festa. Abbiamo ascoltato la parola di Dio e in modo particolare il Vangelo rivivendo per rimeditare tutta la passione di Gesù Cristo.

Come dicevamo all’inizio il passaggio dalla gioia al dolore, ma ci sono anche i due atteggiamenti fondamentali che ogni anno ricordiamo, che meditiamo e che mettiamo in evidenza e che sono gli atteggiamenti della folla, che sono gli atteggiamenti nostri: il passare nel giro di così breve tempo dall’osannare, dall’acclamare Gesù Cristo come re al condannarlo e a chiederne la morte.

È un po’ la nostra storia soprattutto in questo periodo, è il tempo della sofferenza di Gesù ed il tempo della sofferenza di questa umanità così provata, che ha bisogno necessariamente di mettersi, oserei dire – mi permetterete quest’esempio ma tratto proprio dal breve brano del Vangelo che abbiamo ascoltato all’inizio – messi tutti quanti su quest’asinello insieme a Gesù per salire verso Gerusalemme.

Abbiamo bisogno oggi più che mai di guardare verso Gerusalemme e Gerusalemme rappresenta per noi tutti il luogo dove c’è la presenza di Dio, il luogo dove Dio si rivela, dove Dio parla alla nostra vita e dove Dio ci dona la capacità anche di leggere tutti i fatti che sono così tristi e che sono così dolorosi e che stanno lasciando tanta ansia, tanto vuoto nella nostra esistenza. Abbiamo bisogno dunque di fermarci anche a Gerusalemme insieme a Gesù e capire qual è il progetto di Dio sulla nostra vita spesso incomprensibile; spesso non riusciamo a capire che cosa Dio realmente chiede ad ognuno di noi. L’esperienza che Gesù ha vissuto è stata l’esperienza di colui che è stato abbandonato incominciando soprattutto dalle persone care, l’esperienza di chi si è ritrovato da solo con il suo Dio e con il Dio che Lui è venuto a rivelarci. E in questo dialogare, in questo pregare da solo, ha vissuto l’amara esperienza del sentirsi solo, senza il conforto, senza l’aiuto di nessuno. Quante famiglie in questo anno hanno vissuto, stanno vivendo questo tipo di esperienza! E quanti fratelli  hanno dato la vita e sono morti, hanno vissuto l’agonia, il momento del Getsemani cercando di capire che cosa Dio volesse dire e che cosa Dio stesse comunicando alla loro vita.

Noi ci ritroviamo qui oggi proprio per riflettere, per pensare come la storia che Dio fa con noi è molto diversa dalla storia che gli uomini vogliono fare, vogliono portare avanti e si perdono completamente in mezzo a tante strade ben asfaltate, ben preparate ma che non conducono da nessuna parte, perché sono le strade che non ci fanno incontrare, sono le strade che ci fanno perdere, sono le strade dove non abbiamo più la possibilità di stare insieme non per il gusto di stare insieme ma per il gusto di sapere quanto io ho bisogno dell’altro e quanto l’altro ha bisogno di me indipendentemente da quelle che sono e possono essere le differenze sociali tra di noi. Un bisogno di un’umanità che ha bisogno di ritrovarsi.

In questo ritrovarsi noi seguiamo Gesù che ritrova la voce del Padre, ritrova la voce di Colui che indica realmente che cosa deve fare per un bene più grande della sua stessa vita, della sua esistenza e per il bene dell’umanità intera.

Su quell’asino Gesù non ha portato solo se stesso ha portato tutti noi. Quando noi parliamo dell’asino – io mi vorrei soffermare soprattutto su questo oggi, se riesco a farvi cogliere il senso e il significato ma lo dico soprattutto a me – quando parliamo dell’asino noi diciamo di solito, quando una persona non è intelligente, che non è brava scuola eccetera la chiamiamo asino e invece un asino è un animale molto intelligente, l’asino è un animale da soma che fatica, che lavora per il bene dell’altro, l’asino è uno che è capace di portare il peso della storia che l’uomo gli mette sulle spalle, sulla schiena.

L’asino è colui che ha un compito ben preciso: vado indietro nella storia della salvezza, al primo libro della Bibbia, la Genesi, dove si parla della figura di Abramo insieme al figlio Isacco, che rappresenta secondo l’interpretazione dei padri della Chiesa la figura di Gesù Cristo. Abramo che deve sacrificare il figlio prende, insieme a due servi, un asino; un asino che deve portare la legna per il sacrificio del figlio. Quando arrivano ai piedi della montagna dove il figlio deve essere sacrificato, l’asino insieme ai servi devono rimanere lì mentre lui procede da solo insieme al figlio che porta la legna, simbolo della croce che deve portare in alto. Quando il sacrificio di Isacco non avviene più perché Dio non può permettere una cosa del genere Abramo rientra alla base, ai piedi della montagna; se andate a leggere nel libro della Genesi voi troverete scritto che non si parla più né di Isacco né dell’asino. Abramo fece ritorno a casa insieme ai servi. Quando nasce Gesù accanto a lui c’è esattamente un asino insieme al bue e quest’asino indica fin dall’inizio il ruolo importante che ognuno di noi deve avere nel saper portare la storia anche degli altri sulle proprie spalle. Ad un certo punto della passione mentre Gesù sta portando la croce verso il patibolo c’è un uomo che viene chiamato per sostenere, per portare la croce, è il Cireneo. Noi tutti chiamati a portare la stessa croce, lo stesso peso che ha portato Gesù, lo stesso peso in questo momento: per essere chi? Persone che agiscono e che operano per il bene di una umanità che ha bisogno di essere salvata, liberata non solo dal virus della pandemia da coronavirus, ma  ha bisogno di essere salvata e liberata dal virus che ci impedisce di essere e di vivere da fratelli, dal virus che ci impedisce di saperci guardare negli occhi e di sapere che abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Abbiamo bisogno di essere liberati non attraverso un vaccino che la scienza ci mette a disposizione – e ringraziamo Dio che ha suscitato coloro che sono arrivati ad avere questi vaccini – abbiamo bisogno di un altro tipo di vaccino: il vaccino dell’amore che ci deve accarezzare, il vaccino dell’amore che ci deve far prendere per mano, il vaccino della fratellanza direbbe Papa Francesco che ci fa ritrovare tutti una sola famiglia.

Possiamo anche guarire dal virus della pandemia ma abbiamo bisogno di guarire da un altro tipo di pandemia, ecco perché questa Settimana Santa è opportuna per tutti noi e per il mondo intero perché possiamo imparare a guardare Colui che è stato crocifisso e dal cui costato è uscito sangue acqua. Sangue e acqua, il vaccino dell’amore, il battesimo, l’eucarestia che stiamo celebrando, di cui ci nutriamo.

Gesù Cristo è il vaccino che ci salva, che ci guarisce e ci mette in comunione, altro che “vado a fare la comunione”. Faccio la comunione per vivere la comunione; la comunione non si fa, si vive.

Chiediamo al Signore in questo giorno e in tutta questa settimana che questo nostro procedere, tappa dopo tappa attraverso i momenti che vivremo insieme, di poter sentire che abbiamo bisogno di un asino. Abbiamo bisogno di portare quello che l’asino è stato capace di portare e nello stesso tempo di capire che l’asino ci porta davanti alla Chiesa e nella Chiesa noi dobbiamo capire che cosa Dio vuole da noi, dalla nostra vita. Così sia