Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Foto: Zotta

Venerdì Santo. Mons. Tisi: Nella pandemia si rinnova il miracolo del Golgota

 “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi.” (Is 53, 2b)

La constatazione del quarto canto del Servo di Jhwh, sembra essere in dissonanza con l’affermazione di Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv 12,32)

In base a queste parole di Gesù, la via maestra per diventare credenti è l’attrazione. Ma cosa può esserci di attraente nel volto sfigurato di un Crocifisso? L’apostolo Paolo nella lettera ai Galati, riprendendo il Deuteronomio afferma: “Maledetto chi è appeso al legno.” (Gal 3, 13b)

Il volto sfigurato di Gesù riscrive i canoni della bellezza, offrendoci l’amore come sua unità di misura. Nel volto sfregiato di Gesù ad attirare non è la sofferenza, ma un Dio che “mi ama da morire”. La seduzione sta nella disarmante semplicità di un amore vestito di gratuità e perdono, che l’evangelista Giovanni non esita a definire “gloria”.

Forse non è casuale che quando parliamo dell’odio, usiamo termini come abbruttito e accecato.

Continuando a tenere fisso lo sguardo sulla bellezza del Crocifisso, soffermiamoci sulle parole di Gesù: “Ho sete”. (Gv 19, 28b)

Gesù muore gridando la sua sete, ma subito dopo la sete si trasforma in un pozzo, in una sorgente: dal suo costato sgorga l’acqua della vita.

Come può un uomo assetato divenire fontana di acqua fresca? In quella sete abita l’amore viscerale di Dio per l’uomo, il suo desiderio irrefrenabile di non perderlo.

Incredibilmente, sperimentiamo di essere noi l’attrazione fatale di Dio, il suo incanto, la sua passione. Le nostre ombre, la nostra cattiveria, le nostre inconsistenze non fermano l’amore di Dio per noi.

Rimanendo in contemplazione della bellezza dell’uomo della croce, sorprendono le parole di Gesù mentre muore: “E’ compiuto”. (Gv 19, 30b)

Noi commentiamo solitamente la morte delle persone dicendo: “È arrivato alla fine, ha terminato i suoi giorni”. Ma ben diverso è parlare della morte come compimento. Lasciamoci accompagnare dal centurione romano. Egli, abituato a frequentare gli occhi dei morenti, scorge nello sguardo di Gesù dei tratti assolutamente inediti, che lo portano ad affermare: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”. (Mc 15, 39) Il centurione vede un amore assolutamente innovativo: gratuito, libero totalmente da se stesso, scevro da qualsiasi domanda di contraccambio, senza imporre alcuna ipoteca.

Questo amore vince la morte, l’ultima parola spetta alla vita, non alle lacrime, né al sepolcro.

La buona notizia per tutti noi, in questo lungo anno di pandemia, è che il miracolo del Golgota ha continuato a ripetersi: tanti uomini e donne hanno reagito alla morte con un di più di amore, di dono, di tenerezza. Questa è la vera bellezza che salva il mondo.