Uniti nella Speranza

Coraggio, non abbiate paura (Mt 14,27)

Mons. Angiuli: la pandemia non spenga la poesia del Natale

Mons. Angiuli: la pandemia non spenga la poesia del Natale

La pandemia da coronavirus sembra non voglia fare sconti nemmeno in questi giorni di festa. Si moltiplicano le disposizioni, le regole, le discussioni e i provvedimenti per tutelare la salute di tutti contro il Covid-19. Si ripetono gli appelli alla sobrietà e alla semplicità, a mantenere alta l’attenzione e soprattutto a continuare a rispettare le norme di sicurezza per evitare l’incremento dei contagi. Si fa appello al buon senso, alla moderazione e alla responsabilità personale e collettiva per non rendere vani i sacrifici fatti fino ad oggi.

Non dobbiamo dimenticare, però, che questo tempo può diventare una scuola di umanità. «Peggio di questa crisi – ha detto Papa Francesco – c’è solo il dramma di sprecarla». Il virus, infatti, ha mostrato che il consumo esasperato ferisce la casa comune nei suoi ecosistemi e aumenta sul nostro pianeta le probabilità di comparsa di altre epidemie, oltre a creare sempre più squilibri e diseguaglianze sociali. Occorre costruire un mondo più solidale e inclusivo guardando al futuro con immaginazione e creatività per non ripetere schemi ed errori del passato e avviare un percorso verso un mondo nuovo.

Se le condizioni esterne sono profondamente mutate, il messaggio spirituale della festa di Natale rimane valido anche nel nostro tempo. Per il credente, significa celebrare un Dio che mette la sua tenda tra noi e inaugura il progetto di una nuova umanità. Per il non credente, rimane forte la nostalgia di vivere il Natale con accenti poetici e trasognati, lasciando che la bellezza del racconto della nascita di Gesù avvolga e affascini con la sua narrazione e il suo valore simbolico.

La festa di Natale rappresenta un’esperienza irrinunciabile, tanto che il suo valore viene riproposto, forse inconsapevolmente, anche in una modalità “laica”. Infatti, insieme ad alcuni canti tradizionali, come “Tu scendi dalle stelle”, “Astro del cielo” che con la loro dolce melodia caratterizzano e diffondono la tipica atmosfera natalizia, a me sembra che alcune canzoni, se interpretate sapientemente, richiamano alcuni valori tradizionali del Natale. Mi riferisco, in modo particolare, a tre canzoni: “Don’t worry” (Boomdabash), “L’essenziale” (Marco Mengoni) e “Rinascerò rinascerai” (Roby Facchinetti).

L’invito a non preoccuparsi (“Don’t worry”), sembra richiamare una frase di Gesù nel discorso della montagna: «Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,34). Queste parole sono di grande attualità. Il virus assomiglia a un nemico subdolo e ambiguo di fronte al quale ci sembra di essere impotenti. Assale alle spalle e ci fa sentire in balia della sorte. Il messaggio è ancora più rafforzato dalle numerose canzoni che portano il titolo “Don’t be afraid”. Sembra di riascoltare il grido di san Giovanni Paolo II, quando in piazza san Pietro fece risuonare l’esortazione a non avere paura di Cristo. Si ripropone così l’ultima parola di Gesù ai discepoli, prima di lasciare questo mondo: «Non temete, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

La seconda canzone, “L’essenziale”, esalta la bellezza di condividere i comuni ideali, abbandonando ogni forma di eccesso e le cattive abitudini per cercare di tornare all’origine e fissare nuovamente la mente e il cuore su ciò che veramente ha valore. La pandemia ci costringe a saper distinguere l’essenziale dal superfluo e a cercare il bene possibile in un contesto solcato da profonde ferite, cogliendo le domande radicali che la realtà ci pone davanti.

La terza canzone “Rinascerò rinascerai” annuncia la speranza che anche la tempesta del coronavirus passerà. È un inno a resistere di fronte alle ferite causate dalla pandemia e a continuare a lottare, nonostante tutte le lacerazioni. Il messaggio della canzone è chiaro: «Siamo nati per combattere la sorte. Ma ogni volta abbiamo sempre vinto noi».

Non credo di offendere la sensibilità di qualcuno se invito a pensare a questo Natale non solo attraverso i canti tradizionali, ma anche con l’ausilio di canzoni, nate forse con tutt’altro scopo che, tuttavia, contengono germi di verità da tenere presenti in una situazione così difficile. Immagino che, guardando il presepe e le persone della santa famiglia, ognuna di esse richiami una delle tre parole che ben si adattano al Natale di quest’anno: fiducia, sobrietà e speranza.

La Vergine Maria, come una madre premurosa e attenta al bene dei suoi figli in difficoltà, dolcemente raccomanda di non preoccuparci e di continuare ad avere fiducia in Dio. Suo figlio Gesù, viene a stare con noi per darci la certezza che il male sarà sconfitto. Guardando san Giuseppe, rimango colpito dalla sua figura ieratica e semplice. La sua persona raffigura, in forma concreta, ciò che è essenziale: stare vicino a chi soffre. Egli scorge che siamo in pericolo e, senza proferire parola, si mette accanto a noi per consolarci con la sua presenza paterna. Sembra propria la figura dell’angelo consolatore, silenzioso, discreto e generoso. In questo tempo di pandemia, non chiamiamo forse “angeli” i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari? Infine, mi sembra di vedere Gesù Bambino sorridere e ripetere singolarmente ai morti per Covid: «Non temere, io rinascerò e tu rinascerai insieme a me».

Accogliendo questi messaggi “laici” e, nello stesso tempo, cristiani, non resterà altro da fare se non rimanere in silenzio e adorare il mistero del Natale. Nonostante la pandemia, Gesù nascerà nei nostri cuori e nel nostro mondo. L’assenza del trambusto provocato dallo shopping ci permetterà di ascoltare la voce degli angeli che cantano: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore». E, forse, ci lasceremo sedurre dal loro canto e, con una gioia soffusa e intensa, ci uniremo anche noi al coro celeste.

 

Articolo pubblicato In “La Gazzetta del Salento”, giovedì, 24 dicembre 2020.